leggere per rubare
All’inizio è tutto molto facile: leggi per farti raccontare delle storie, leggi per evadere, leggi per emozionarti, leggi perchè quella è la tua esigenza primaria e gratificarla è un attimo.
Poi cresci – o semplicemente cambiano le esigenze – e scopri che leggere ti porta anche a confrontarti con gli altri che leggono, perchè vuoi condividerne a passione, vuoi urlare al mondo che quella lettura ti ha cambiato la vita e quell’altra ti ha solo fatto perdere tempo.
Magari, dopo, scopri che leggi anche perchè vorresti far qualcosa perchè quel linguaggio che tanto ami meriti maggiori attenzioni e vorresti impegnarti nel decodificarne le potenzialità, le enormi potenzialità, sia indagando fra le vignette, sia dando voce a quegli autori che hanno qualcosa d’importante da dire.
Nel frattempo, hai provato anche tu a usarlo quel linguaggio, hai provato a esprimerti per vignette, ma arriva anche quell’attimo in cui capisci che il divertimento che ne ottieni non è intima urgenza, necessità.
E’ lì che cambia la prospettiva. E’ li che cambia il tuo sguardo sulle tue letture, su quelle che cerchi, su quelle di cui hai davvero bisogno come un naufrago ha bisogno di una bussola.
Sì, perchè stai cominciando a camminare con le tue gambe.
Deambuli appena in equilibrio precario, ma la soddisfazione di goderti quella nuova prospettiva sul mondo compensa per adesso ogni incertezza, ogni flessione.
Stai scoprendo che raccontare ha bisogno di un tono, di un solco, di cure: sai cosa vuoi raccontare, ma stai scoprendo che quel cosa ha bisogno di un come.
E non di un come qualsiasi, ma del tuo come.
E camminare diventa più difficile, le ginocchia tremano e forse hai anche un po’ di capogiro.
Soprattutto perchè, te ne accorgi solo ora, sei su una zattera e il mare è agitato, il cielo coperto.
Serve una bussola.
Nei momenti di intima necessità fidati solo di te stesso, ma quando sei destabilizzato, insicuro e non vedi vie d’uscita, allora è meglio chiedere aiuto.
E’ per questo che leggi per rubare. E’ per questo che berresti litri d’acqua salata pur di far tuo l’approccio alla pagina di Eisner, pur di dare voce a cuore e stomaco come fa Miller, pur di raccontare un silenzio, sospendere gli attimi e dare voce ai personaggi come fa Gipi.
Verrà un giorno in cui forse i passi saranno più sicuri e saprai addirittura dove vorrai andare, ma per adesso sai che hai solo bisogno di camminare e di imparare a farlo al meglio.
28 commenti:
Uhm. Mi pare di capire che non disegni. Vuoi scrivere, ma indichi come punto di riferimento tre autori che - a parte, occasionalmente, Miller - scrivono e disegnano le proprie storie. Mi chiedo cosa succederebbe se ti trovassi a lavorare con un disegnatore che la pensa esattamente come te...
AnonyMouse
@anonyMouse> intanto, ben arrivato.
Sono convinto che l unico punto di riferimento da tenere bene a mente è cosa si voglia raccontare, ossia la storia.
La cosa più importante da capire insieme al disegnatore è questa.
Il fatto che la pensi esattamente come me riguarda il come.
Penso, per quel poco che ho scritto fino ad ora, che il come verrà raccontata quella storia sia figlio di due punti di vista, di due urgenze, di due necessità.
Inutile stare a guardarsi negli occhi, ciò che si deve guardare è la direzione dove si vuole andare.
Il come lo si scopre nel tentativo di raggiungere quella meta...
Sarei curioso di conoscere la risposta che eventualmente ti sei dato all interrogativo indiretto che hai posto in chiusura del tuo intervento.
parole sante
Non potevi dirlo meglio.
La ele
@bardamu> son tutto fuorchè santo ;)
a parte gli scherzi: mi piacerebbe dessi il tuo contributo, soprattutto considerando la particolarità dell'approccio che entrambi stiamo avendo al Benzi.
@la ele> son contento che sia ricapitata da 'ste parti.
Anche il tuo parere di disegnatrice sarebbe un tassello importante alla chiacchierata.
Fai l'esempio del mare agitato e a me viene in mente l'episodio nel quale tu hai rischiato di farti vomitare addosso! :-)))
@bruno> sto cercando di rimuovere dalla memoria quegli orridi momenti! :)
Quoto tutto! Il problema sta nell'avere qualcosa da raccontare, non nel voler figurare di farlo.
Spesso quel vuoto che impedisce di esprimersi è legato troppo al confronto con l'altro e non alla comunicazione.
@arioch> il bisogno di raccontare, per come lo vivo io, è comunque antecedente al "cosa".
Tant'è che "soffro" quando non riesco a individuare il "cosa".
mi spieghi meglio che intendi con Spesso quel vuoto che impedisce di esprimersi è legato troppo al confronto con l'altro e non alla comunicazione.
ultima cosa: ma poi sei passata allo stand Tunué? hai avuto modo di sfogliare Mono?
Leggere per rubare. Emo, è giusto. Molto, molto giusto. Qualsiasi lavoro "creativo" (oddio... mi ero ripromesso di non usare MAI questo termine) si basa sul "furto" ed il mestiere di "fumettaro" (sia che tu scriva o che tu disegni) non fa eccezione. Quello che è veramente importante è metabolizzare il corpo del reato. Assimilarlo, ruminarlo e risputarlo fuori come un qualcosa di profondamente diverso. Ma TUO.
C'è solo un punto che non mi torna:"il bisogno di raccontare, per come lo vivo io, è comunque antecedente al "cosa".
Tant'è che "soffro" quando non riesco a individuare il "cosa"."
Lo trovo autolesionista. Ci credo che "soffri". Il "cosa" dovrebbe venire sempre prima del "come". Altrimenti il risultato finirà quasi sempre per essere una BELLISSIMA scatola. Vuota. Il "cosa" è il cuore di una storia raccontata. Non importa che sia bello, o nuovo, o assolutamente originale. Ma è la base di partenza. Intorno ad esso puoi costruire se vuoi la più fantastica delle strutture. L'operazione inversa solitamente genera solo dei golem che sono fonte di frustrazione per il loro creatore.
Armaduk
PS Al posto di "golem" volevo usare "doppelgänger" che mi pare più adatto ma non volevo esagerare... :)
@armaduk> devo essermi spiegato malissimo.
Concordo del tutto con te, soprattutto riguardo al passo che non ti torna, anche perchè quando parlo di "sofferenza" mi riferisco a uno stato di disagio che precede sia il "cosa" che il "come".
E' la voglia di raccontare ed esprimermi attraverso il fumetto che si scontra con il non sapere cosa raccontare o con il non riuscire a risolvere un passaggio narrativo.
Il "come" è successivo, attiene a una condizione emotiva diversa, con difficoltà e ostacoli da superare di altro genere.
Da lì il "leggere per rubare" con tutto quel che ne consegue e con tutto ciò che hai perfettamente rilevato tu.
Rimane un altro paio di interrogativi:
- quando ti accorgi di aver trovato il tuo "come"?
- E' giusto assecondarlo sempre o è preferibile piegarlo a seconda del "cosa"?
E penso che questi enigmi riguardino sia te come disegnatore che me come sceneggiatore, a prescindere (come diceva Totò)...
io no credo che se disegni tu debba guardare solo disegnatori, scrittori altri scrittori e così via..
e poi spessissimo gli stimoli per il proprio lavoro si trovano al difuori della propria specifica "materia" di competenza... l'obbiettivo secondo me, nel fumetto è la storia, disegni e sceneggiatura sono solo dei mezzi.
@bardamu> naturalmente condivido.
ma ogni autore ha il suo stile o ogni storia ha il suo "come"?
non credo che debba prevalere sempre lo stile dell'autore sulla storia, certe storie ti impongono in alcuni casi di trovare una variante appositamente creata per lei. anche se la "mano" tenderà sempre ad essere riconoscibile.
mentre credo che ogni storia abbia il suo "come".
le modalità sono sempre diverse..
spesso, in un certo senso, chi le crea sembra quasi solo un medium attraverso il quale la storia passa..
come se fosse la storia stessa ad aver l'urgenza di uscire.
@emo. secondo me sì. Ogni autore ha il suo stile o ogni storia ha il suo "come", proprio come di ci tu.
A prescindere (W Totò), dalla qualità del cosa e del come, anche chi scimmiotta l'altrui lavoro lo fa a modo suo. Magari costruisce una scatola vuota (per citare Armaduk), e magari è pure tutta storta e sbilenca. però è sua. Poi si deve considerare che il cosa e il come hanno bisogno di strumenti per essere realizzati. Chi ce l'ha deve imparare a usarli, chi non ce l'ha... S'attacca!
@bardamu> hai beccato il centro del bersaglio.
soprattutto per uno sceneggiatore in formazione come me, trovarsi di fronte bivi del genere (almeno per come vivo io lo scrivere) è piuttosto destabilizzante.
A livello razionale condivido il tuo pensiero in ogni punto, ma a livello emotivo/istintivo, quando mi trovo a raccontare (più precisamente, nel momento della sceneggiatura, quando il "come" non è più rinviabile, ma si fa necessario) i momenti di impasse fra istinto e ragione si moltiplicano.
A dirla tutta è una piacevolissima e stimolante sofferenza, ma poi bisogna arrivare da qualche parte, il racconto "deve" procedere e - di conseguenza - le scelte si fanno impellenti.
Riscrivere? No problema.
Tornare indietro e ripartire? No problema.
E' comunque un dualismo a volte inestricabile.
@nomad> (e qua completo il mio pensiero iniziato nella risposta a Bardamu) sto vivendo una fase di passaggio esaltante e sorprendente, proprio dedicata alla ricerca di determinati mezzi da utilizzare.
Il fine ultimo è offrire in forma di racconto una mia necessità e forse è proprio per quello che ne scaturisce il confronto tra l'istinto cui accennavo sopra (il mio come?) e il racconto stesso (il cosa).
Che tutto si risolva quando la storia è finita e avviene il distacco tra la mia necessità e le necessità intrinseche della storia?
Ok, se continuo a delirare, sopprimetemi come si fa con i cavalli azzoppati.
Ok, se continuo a delirare, sopprimetemi come si fa con i cavalli azzoppati.
Ehi! la tentazione è forte!:p
Seriamente, Emo, continuo a pensare che tu ti stia facendo del male. Proprio perchè sei un autore "in formazione", come dici tu stesso. Capisco il tuo problema perchè anni fa ci sono passato anch'io. A dirla tutta ci sono passati TUTTI quelli che conosco e che lavorano in questo campo. Vuoi superare il problema? Bene! Chiudi tutti gli input per una settimana (almeno). Rilassati. Lascia perdere tutti i "cosa", i "come" e lo stile. Procurati un paio di sigari "Romeo y Julieta" n.2. Rilassati. Accendine uno e continua a fumare senza aspirare. Se puoi vai fuori dall'italia per qualche giorno. Non pensare a niente che riguardi fumetto, cinema, letteratura o arte. Poi, dopo una settimana, riattacca a lavorare. Vai giù DI GETTO. Senza mediazioni e senza filtri. Lascia passare ancora qualche giorno. Siedi in poltrona. Accendi il secondo sigaro e fumandolo (sempre senza aspirare) dà un'occhiata a quello che hai scritto.
Poi fammi sapere.
Armaduk
Io posso darti la mia opinione? Scrivi tutto quello che ti passa per la testa, non necessariamente storie che abbiano un'inizio e una fine, ma semplici sensazioni, momenti, attimi che ritieni...forti. Poi lasciali macerare, fagli prendere vita e quando sarà il momento alcuni di questi scritti si uniranno come pezzi di un puzzle che formeranno una storia. Nell'attesa, racconta storie che possano lasciare a quei gioiellini il tempo di macerare. ; )
@armaduk> naturalmente hai ragione.
non perchè mi sono accorto ora che hai ragione, perchè lo so.
il problema è che sono sempre portato a mettere alla prova la mie convinzioni, lasciando che vengano "attaccate" dall'esterno.
Se resistono anche agli attacchi... beh, direi che c'è di che essere orgogliosi ;)
Grazie di cuore!
@claudio> ti sembrerà strano, ma è esattamente ciò che faccio abitualmente. :)
Sono felicissimo del tuo intervento.
bel post, emo.
"spesso, in un certo senso, chi le crea sembra quasi solo un medium attraverso il quale la storia passa..
come se fosse la storia stessa ad aver l'urgenza di uscire."
bardamu riesce sempre a sintetizzare benissimo. lui non sa quanto invidio questa sua peculiarità.
aggiungo:
solo se la storia ha un'ANIMA attraversa il medium.
e per anima intendo una storia che non si limiti a raccontare se stessa ma che sia solo un mezzo per raccontare molto altro.
"[...]Poi lasciali macerare, fagli prendere vita e quando sarà il momento alcuni di questi scritti si uniranno come pezzi di un puzzle che formeranno una storia."
è vero che succede questa cosa, claudio. succede sempre. ma c'è il rischio che sfugga di mano se non riesci a controllarla. e dubito abbastanza delle storie che "si scrivono (un po') da sole". credo che il fine di una storia debba essere sempre ben presente nella testa di chi la scrive. altrimenti si rischia la casualità dell'intreccio. e del contenuto in genere. ma forse, claudio, queste mie precisazioni, le dava per scontate.
il problema è che sono sempre portato a mettere alla prova la mie convinzioni, lasciando che vengano "attaccate" dall'esterno.
Ecco. E' esattamente questo che intendo: non dovresti esporre le tue "convinzioni" ad attacchi esterni. molto semplicemente perchè NON sono "convinzioni". Sono invece "idee in fase di formazione". Non sono ancora nè sviluppate nè robuste. L'esposizione ad attacchi esterni è solo ulteriormente destabilizzante, non costruttiva. E' come esporre ad attacchi un bambino che sta imparando a camminare: se continui a farlo cadere non imparerà mai. Aspetta che sia cresciuto. Aspetta che sia più "solido". Lavora sulla tua idea, sul tuo cosa e sul tuo come DA SOLO. Taglia, pulisci, torna all'idea di base, togli i fronzoli e poi ricostruisci le sovrastrutture. Quando il tutto sarà stabile e solido potrai sottoporlo ad attacchi esterni e smussare le imperfezioni. Ma solo allora.
Armaduk
@ausonia> e tu come ti poni nel momento in cui senti il bisogno di raccontare?
@armaduk> discorso ineccepibile, il tuo. ma io ho un cervello un po' stranino. ;)
cavolo che domanda. il fatto è che non sono certo di saperlo.
ti dico che mi interessa la metafora. mi piace usare una storia per parlare di qualcosa in modo non troppo diretto. o magari parlando di cose che uno da per scontato di conoscere e usarle per altri fini. questo è stato anche il caso di pinocchio.
mi interessa avere un finale. prima di tutto. e per finale intendo dove voglio arrivare con quella storia. e poi quando mi è chiaro cosa voglio raccontare e che metafora usare per raccontarlo meglio... la tengo in testa per mesi. finché il mio cervello non ha creato quei legami fra i vari elementi come diceva il buon claudio.
poi comincio a prendere appunti. e questa è la fase più creativa. scrivo dialoghi improvvisati per capire un po' meglio la personalità dei personaggi. cerco fotografie. leggo cose non inerenti alla storia che sto scrivendo. mi fermo.
ricomincio. disegno una faccia, una casa, una strada. cerco di rimettere insieme un puzzle. un microcosmo. il mio lavoro procede sempre come un collage di cose. molto lentamente. non potrei mai scrivere una serie regolare. il 90% dei pezzetti li scarto in fase di scrittura, che poi per me coincide con la realizzazione dello storyboard. bevo milioni di caffè. e poi magari mi fermo per qualche altra settimana e lavoro su altro, lasciando che le idee (più chiare adesso) finiscano di fermentare.
e poi mi rimetto al lavoro.
per ABC (ho cominciato a lavorarci tre anni fa) sono ancora a meno di metà del progetto. ho scritto cento cinquanta pagine e ne mancano ancora una trentina... e ne ho disegnate settanta.
insomma, non sono proprio un esempio da prendere. sono un disastro totale.
@ausonia> per quanto dissimili in partenza (io non disegno, ad esempio), sto maturando più o meno lo stesso approccio.
Fino a qualche anno fa partivo dal presupposto errato e - soprattutto - spocchioso - che una storia dovesse venirmi di getto.
Ossia: l'intelaiatura, la struttura, chiamiamolo per praticità il soggetto, dovevo averlo in punta di dita contestualmente all'idea.
Naturalmente, era una follia.
Xiola (il mio primo fumetto pubblicato, ormai nel '99), invece, fu il risultato di un lavoro in tandem fatto con Antonio.
E lì mi resi conto di quanto il confronto (in questo caso con un'altra persona, ma esiste anche il cofronto con sè stessi) potesse essere molto più interessante.
Da quando ho ripreso a scrivere con continuità, ma prima di arrivare alla fase attuale, ho avuto un periodo in cui non scrivevo una mazza, ma accumulavo appunti, suggestioni, idee, spunti.
Tutto normale, si potrebbe pensare, invece no: fondamentalmente erano alibi.
Me l'ha fatto capire un caro amico (Bruno Enna)(con una semplicità disarmante: un pomeriggio in cui gli raccontavo di quanti appunti stessi prendendo e di quanto mi sentissi ricco, mi ha "smontato" con una frase molto secca, che - più o meno - era di questo tenore: "Ok gli appunti, è una cosa che facciamo tutti, ma ora prova a scrivere davvero".
E' lì che mi sono reso conto che quell'approccio fosse in qualche modo errato, perchè avevo comunque il timore di affrontare la pagina e rinviavo il momento, anche per pigrizia, ma prevalentemente per paura di ritrovarmi bloccato o incapace di dare un senso alla mole di idee.
Poi le cose, per fortuna, sono cambiate e ora mi sto divertendo un sacco.
All'inizio si è trattato di piccole cose (la breve pubblicata su Donnell & Grace, la storia per Mono), ma che nella loro esiguità mi hanno fatto capire l'importanza di arrivare a chiudere e così dare un senso compiuto al lavoro preliminare.
Ora sto affrontando un altro paio di situazioni (una con Gianfranco e una con Duccio), entrambe molto diverse per tutta una serie di motivi.
Nel primo caso, c'è il finale nell'accezione che hai usato tu.
E non solo quello, ma anche una struttura che ci soddisfa.
Nel secondo caso, siamo ancora in piena fase di elaborazione.
Ma ognuna delle due situazioni mi sta regalando delle emozioni davvero speciali.
a proposito.. c'è posta per te :)
@bardamu> sarebbe più convincente la postina della De Filippi, ma andrò a scaricare ugualmente e a vedere un po' ;)
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