Chi sono gli stupidi?
Fra le cose interessanti dell'ultimo aggiornamento del sito di Michele Medda c'è un articolo in particolare, intitolato Stupido è chi lo stupido fa, che vi invito a leggere integralmente prima di proseguire oltre (non posso mettere il link diretto, quindi - per raggiungerlo - seguite questo percorso: home/nuovi_articoli/stupido_è_chi_lo_stupido_fa).
Nei suoi pezzi Medda non rinuncia mai alla provocazione sferzante, al tono caustico e al contrappunto sarcastico nei confronti di atteggiamenti, consuetudini, modi di pensare e - in genere - quelli che lui ritiene i malcostumi del fumetto italiano.
Scrive Michele: "(...) E’ come una specie di gas tossico - qualcosa che arriva da altri ambienti, forse da quello della TV, forse da quello del lavoro statale - che ha finito per inquinare la visione di questi ragazzi, la convinzione che è possibile essere “tronisti”, “veline” o semplici “raccomandati” del fumetto: in parole povere, la convinzione che è possibile fare i fumetti senza prima avere imparato a farli. Perché dopotutto, come ci dice un pregiudizio ormai secolare, quello del fumetto non è nemmeno un lavoro. Ne consegue che quelli che i fumetti li fanno in realtà non li sanno fare. E allora, pensa/dice/grida il nostro nerd, perché quelli pubblicano e io no? (...)"
Bisogna prima imparare a farli i fumetti, su questo non ci piove.
Ma generalizzare costantemente il discorso, puntare il dito nei confronti degli aspiranti autori - in questo caso disegnatori – è davvero un atteggiamento costruttivo? O, ancora, ha una sua reale utilità?
Io sono convinto che possa rischiare di essere esercizio sterile e facile. Guardare prima all’esterno del fortino e prendersela con i peones che reclamano un posto al sicuro delle mura può anche essere divertente, ma non rischia di distogliere l’attenzione dai mali endemici interni alla fortezza?
Davvero il mondo del fumetto, il mercato, le Case editrici sono frequentati da figure professionali e irreprensibili che hanno solo da insegnare a chi aspira a svolgere il medesimo mestiere?
“(…) Il lapsus freudiano – continua Medda - che tradisce questa allucinazione di massa è proprio nella parola “pubblicare”, che molto spesso sostituisce “lavorare” nelle geremiadi dei wannabe frustrati. Come se il valore intrinseco del fumetto non scaturisse dall’opera in sé, ma solo dal suo risvolto pubblico, che dà “notorietà” (per quella che può essere la notorietà in questo campo) all’autore.
Lo stesso ragionamento della squinzia che si mette una riga di matita intorno agli occhi e corre ai provini per Il Grande Fratello. Se ci sono riusciti quelli là, quelli dall’altra parte dello schermo (quella “giusta”), posso riuscirci anch’io.
Siamo al delirio di un Paese istupidito, di una repubblica che non è più fondata sul lavoro: al lavoro ha tolto qualsiasi valenza etica, è arrivata alla negazione del lavoro, sostituendolo col mito del successo immediato incensato da plebi osannanti. (…)”
E’ troppo facile scaricare tutto sulla televisione e sulle derive realityche nelle quali versa e sulle conseguenze culturali che questo comporta. E’ per me una prospettiva miope che indirettamente pare deresponsabilizzare chi il fumetto lo fa già da anni e che non si pone nemmeno il problema di costituire un modello di riferimento, un esempio da seguire.
Se esistono le aspiranti veline è perché esistono le veline e chi le crea. Da questo non si può prescindere.
Mi chiedo, allora, chi sono le veline del fumetto e, soprattutto, chi c’è dietro di loro? Chi sono gli equivalenti fumettistici dei produttori, degli autori televisivi, dei registi, dei manager che offrono questi modelli di riferimento?
E’ più grave emulare un atteggiamento discutibile o proporre un modello culturale/etico discutibile?
Il sarcasmo pungente nei confronti dei wannabe può strappare qualche sorriso ed essere a suo modo stimolante per chi non si offenda o non abbia la coda di paglia, ma perché non sfrugugliare gli editori ciechi e sordi alle novità? Perché non tirare qualche bella stilettata nei confronti di quegli editor/curatori di testata che non sanno fare il proprio mestiere, che castrano non dico la creatività, ma che non hanno i mezzi per ricoprire un ruolo tanto delicato e importante?
“(…) Si può ammettere senza difficoltà che il fumetto italiano versa in condizioni tristi. Le vendite sono in calo. Non ci sono spazi dove coltivare i giovani talenti. Il settore delle librerie non riesce a decollare. Gli editori rischiano poco. Si può ammettere questo e molto altro. Ma tutto ciò non può costituire una scusante per la stupidità e l’arroganza. (…)”
No, Michele, è troppo facile chiosare elencando tanto repentinamente quelli che sono i mali più pericolosi del Paese-fumetto, che pre-esistono rispetto ai wannabe.
O forse la stupidità e l’arroganza sono tratti distintivi unicamente degli aspiranti autori (non di tutti, ma di molti, come dici nel tuo pezzo)?
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