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dieci anni


... e poi mi accorgo che oggi Xiola compie dieci anni (qui e qua altre cazzatine su uno dei migliori personaggi a fumetti degli ultimi secoli).
Fa un certo effetto e aiuta a mettere tante cose in prospettiva, a cominciare da ciò che verrà - spero - a breve.
E tanti auguri anche ad Antonio e a Werther, gli altri papà di questa ragazzina che - oggi - sarebbe alla soglia dei trent'anni: chissà come vivrebbe le sue condizioni di vampira...

Il primo... [catena inside]

La Ele mi coinvolge in un altro giochetto stermina-neuroni: guarda che ti succede a parlar bene delle persone. :)
L'untore questa volta è facilmente individuabile e risponde al nome di Diego Cajelli che ha preso spunto da un post commemorativo del Rrobe dedicato alla scomparsa di Andrea Corno.

Primo albo Corno comprato con coscienza:

Di fronte a una copertina del genere, anche un bimbo di 5/6 anni acquisisce immediatamente la consapevolezza di DOVERE acquistare quell'albo. Così è stato.


Primo albo Bonelli comprato con cognizione di causa:

Gli dedicai già un post apposito nei primi giorni di vita di questo blog. Lo possiedo ancora, ma non so in quale armadio, scaffale o cassettone...


Primo libro comprato consapevolmente:

Sono cresciuto fra libri e fumetti, quindi la necessità/voglia di comprarne di nuovi è arrivata piuttosto tardi, quando rimasi affascinato dal film Il nome della rosa e, scoperto che era tratto da un libro, andai immediatamente alla sua ricerca. La prima lettura fu di una difficoltà inaudita, lo riscoprii qualche anno dopo e la terza lettura da grandicello fu quella che l'ha consacrato per anni il libro cui ero più affezionato.


Primo film visto al cinema da solo:


Non l'ho mai più rivisto da allora, non ricordo una mazza, manco se mi fosse piaciuto o meno. Stetti praticamente tutto il film a osservare una ragazzina che venne al cinema a vederlo insieme agli amici che mi invitarono. Non ne ricordo nè i nome nè i lineamenti, ma ricordo benissimo le evoluzioni acrobatiche per guardarla cercando di non essere visto.


Primo film visto mentendo sull'età:

Avevo 13 anni e andai a vederlo con Roberto e Simona. Era vietato ai minori di 14 o di 16, non ricordo, ma ricordo che "mentire" sull'età non fu tanto rischioso, dato che ho sempre dimostrato più degli anni che avevo. Infatti ora ne dimostro 55/60.


Primo film registrato e rivisto, rivisto, rivisto in VHS:

Ho consumato letteralmente la videocassetta, che cedette di schianto gettandomi nello sconforto più amaro. Lo riregistrai, lo comprai (e perdetti successivamente) in originale, ma vederlo su altro supporto non ebbe mai più il medesimo sapore. Sì, son cose sceme, ma non ho mai detto di essere una folgore.


Primo 45 giri:

Lo possiedo ancora, continua a piacermi e a gasarmi parecchio e mi piace pure il pezzo del lato B, Broken wings.


Primo Lp su cassetta:

In quel periodo (1984...) era scoppiata la Civil War tra fan dei Duran Duran e fan degli Spandau. Avevo 12 anni e sapevo perfettamente da che parte stare. Mica ero un mollaccione o una ragazzina, io! Gli Spandau erano i più fighi dell'universo!

Primo Lp su vinile:

Mi piacque tanto, tantissimo e a volte lo riascolto ancora oggi. Acquistai anche i due successivi, ma poi - dopo qualche anno di silenzio - persi le tracce della Chapman e quando tornò non mi intrigò più come prima.


Primo Lp su vinile, con seguente decisione di comprare in futuro tutti i dischi del gruppo:

Li scoprii grazie ad Antonio, un compagno di liceo, ma eravamo ancora al ginnasio. E riuscii in tempi relativamente brevi - almeno per le mie modestissime finanze - a recuperare tutta la loro discografia, seppur in cd. Ho anche qualche bootleg. Nel frattempo, Antonio è diventato il mio avvocato.


Primo fumetto comprato con la decisione di collezionarli tutti:

Il n.2 di Martin Mystère. In realtà, giusto per la precisione tassonomica che mi contraddistingue anche quando la malinconia mi strozza i sospiri in gola, avevo già cominciato a collezionarlo dal primo numero, ma che mi venne regalato da mio padre. Il mio primo numero uscito, letto e vissuto in tempo reale e non una ristampa. Dylan Dog, 4 anni dopo, fu il primo fumetto che comprai dal primo numero con l'intenzione di collezionarli tutti.


Primo pacchetto di sigarette:


Ho cominciato a fumare a 17 anni, anche se per un paio di mesi tiravo il fumo senza aspirare.
Ho fumato per un annetto circa, ma mi fece smettere il mio allenatore di basket.
Ho ripreso anni e anni dopo, intorno ai 24/25 e ora fumo Marlboro Lights.



Bene, esaurita la mia carrellata-amarcord, ora è giunto il momento di nominare le 5 persone cui passare la palla, con la speranza che nessuno mi tolga il saluto.

  • Andrea (così rende il suo blog meno intellettualoso)
  • Armando (son proprio curioso di sbirciare fra i suoi ricordi)
  • Gianfranco (sì, ce l'ho sempre con te :))
  • Giulia (un tocco di femminilità non guasta mai)
  • Matteo (così aggiorna il blog, che sta a mettere muffa)

Xiola's back pages


Era il 1997 e già da qualche anno con Antonio frequentavamo le fiere non solo per respirare l'aria del fumetto, fare qualche acquisto e rincontrare un po' di amici, ma anche perchè cominciavamo a proporre in giro le nostre cose e - di conseguenza - avevamo già iniziato a guadagnarci le nostre belle carrettate di no o - in alcuni casi - di indifferenza.

Una delle tappe ricorrenti era lo stand della Star Comics, dove già l'anno prima ci prendemmo da Ade Capone una leggendaria (e giustissima) lavata di capa per le velleità artistoidi di un progetto che gli sottoponemmo.

Quell'anno, però, avevamo intenzione di parlargli di un'idea che mirava molto più in basso, nel senso che avevamo l'unica ambizione di raccontare una storia che fosse nelle nostre corde e - vista la nostra totale inesperienza - nelle nostre capacità: si trattava proprio di Xiola.

Qualche mese prima, infatti, con Antonio avevamo deciso di fare un bel bagno d'umiltà e di guardarci attorno prendendo in considerazione non solo la necessità di assecondare i nostri gusti, ma di fare i conti con ciò che potesse avere delle realistiche possibilità di riuscita in termini di vendita.

Nei nostri incontri eravamo partiti da una lunga lista di generi, idee guida, ambientazioni e tipologie di personaggi che andavamo a cercare non solo come lettori, ma anche come appassionati di cinema o letteratura.

L'unica base certa di partenza era che volevamo scrivere un fumetto di puro intrattenimento, che divertisse noi per primi, il disegnatore e che potesse soddisfare le le esigenze di un potenziale editore.

La genesi vera e propria dell'idea alla base di Xiola, magari, la affronterò in un altro momento, adesso torniamo al novembre del 1997 e all'edizione invernale dell'Expocartoon.

L'intenzione era di sottoporre il progetto ad Ade per la sua Liberty, che in quel periodo era una delle poche etichette indipendenti ad avere una certa continuità nelle uscite.

Quando Ade ci disse che però i suoi piani editoriali non prevedevano - per i mesi successivi - il vaglio di nuovi progetti, con Antonio ci rimanemmo piuttosto male e tornammo a Sassari con le pive nel sacco.

Passò qualche mese: nel frattempo, avevamo in parte accantonato l'idea di Xiola e io avevo organizzato un incontro in libreria proprio con Ade, che venne a Sassari insieme ad Alessandro Bocci per il decimo anniversario di attività della Star Comics.

La mattina dell'incontro, mentre si chiacchierava del più e del meno, Ade ci chiese se stessimo continuando a scrivere e gli accennammo proprio al progetto che avremmo voluto proporgli il novembre precedente.

Il giorno dopo, in una spiaggia vicino Sassari, raccontammo ad Ade il soggetto, lui ci subissò di una miriade di domande per cercare di capire bene cosa volessimo fare e - evidentemente soddisfatto dalle risposte - accettò Xiola.

Dopo qualche anno di risposte negative o evasive da parte di qualche editore, arrivava la prima risposta positiva: dire che non stavo nella pelle e che ho faticato come una bestia a cercare di non tradire particolari emozioni e a mostrare un dignitosto aplomb è poco.

E' anche vero, però, che una volta che accompagnammo Ade e Alessandro in albergo, con Antonio ci scatenammo in una serie di balletti propiziatori per celebrare una soddisfazione e un'emozione che nessuna parola potrebbe restituire.
Pensate a una delle sensazioni più goduriose e appaganti che abbiate mai provato e avrete un'idea vaga di come mi sentivo e di come ci sentivamo Antonio ed io quella domenica pomeriggio.

Da lì in avanti le cose cominciarono a farsi ancora più vere e concrete: avevamo garantito ad Ade di poter trovare un disegnatore adatto, lui scommise sulle nostre capacità organizzative e ci affidò la supervisione generale di tutto e non potevamo permetterci (e non volevamo permetterci) di perdere un'occasione tanto invitante.

Il fatto è che di disegnatori non è che ne avessimo in esubero, tutt'altro, ma qui ci venne in contro quel bell'uomo di Maurizio Di Vincenzo, che ci mise in contatto con quell'altrettanto attraente e affascinante personcina che risponde al nome di Werther Dell'Edera, che già da allora mostrava delle enormi potenzialità e una voglia di fare che oggi stanno cominciando a concretizzarsi in lavori di grande maturità e professionalità.
Wertheruccio ci sembrava il disegnatore ideale per ciò che avevamo in mente e gli proponemmo di saltare sulla barca.

Il buon barese camuffato da romano accettò di fare le prove per il personaggio e i comprimari e dopo un paio di settimane ce le recapitò via corriere.

Aprire la busta contenente i primi disegni è un altro di quei monenti perfetti da segnare sul calendario: salivazione azzerata, mani due spugne, lingua una felpa, tremore da tregenda alle gambe e lo stomaco che esplodeva in un forsennato ballo di San Vito. Xiola era viva, ancora piccola e incerta, in fasce, ma viva.

Lo stile utilizzato da Werther nei suoi primi studi era però ancora radicato in un realismo espressionista che non aveva virato verso la sintesi grafica e arricchita di neri generosi che avevamo in testa (Werther per primo) e di cui avevamo parlato ad Ade.

Quando gli inviammo il materiale, quindi, fu necessario chiarire bene che la nostra volontà era comunque quella di affidarci a Werther: credevamo ciecamente in lui e nelle sue capacità e non ci fu difficile scommettere sulla riuscita del progetto. Non so quanti editori avrebbero dato retta a due sceneggiatori all'esordio e pressochè privi di qualsiasi esperienza, sorretti quasi unicamente dall'enorme motivazione e da una generale competenza in campo fumettistico.

Sta di fatto che Ade accettò le nostre considerazioni e le garanzie che gli demmo, ma si riservava di dare una risposta definitiva solo dopo aver visto qualche ulteriore tavola di prova. Discutemmo della cosa con Werther, che si mise subito al lavoro e ci consegnò delle tavole decisamente eccellenti.

Ade e Alessandro, da lì a qualche giorno, sarebbero tornati un'altra volta in Sardegna, ospiti di una rassegna organizzata dal Gruppo Damage (fra i quali militava anche Mauro Mura, il primo disegnatore contattato in assoluto per essere messo alla prova sul nostro personaggio): in quell'occasione avremo fatto vedere le tavole e Ade c'avrebbe dato la tanto sospirata risposta.

La mia tensione era incontenibile e non aspettavo altro che Ade e Alessandro terminassero l'incontro col pubblico per poterci appartare e sottoporgli i lavori di Werther. A poco serviva la non chalance con cui Antonio cercava di tranquillizzarmi, ricordandomi che la qualità del lavoro di Werther non poteva che essere riconosciuta anche da Ade.

Se non sono scappato in preda al panico è stato in gran parte merito proprio della serenità che mi trasmetteva Antonio. Quando arrivò il momento, mi ammutolii e cercavo di interpretare ogni espressione che Ade tradiva mentre sfogliava le tavole di Werther, ma era un gioco sterile e accolsi i suoi entusiastici commenti con un senso di sollievo che solo una donna a termine parto può capire (si, va bene, non sono una donna, non ho mai partorito e mai lo farò, il tono è un filo sopra le righe, ma ci siamo capiti, no?).

Ciò che però rese il momento ancora più intenso fu un ulteriore fatto: il progetto iniziale prevedeva la pubblicazione di una miniserie di 3 numeri di 24 pagine, ma in quel periodo il mercato editoriale fumettistico e in particolare quello del fumetto indipendente - parliamo della seconda metà del '98 - stava iniziando a prendere la brutta china che oggi sta mostrando tutti i suoi risultati.
Ade ci chiese quindi di concentrarci su un solo albo di 24, una sorta di numero 0 (e, in effetti, in quel modo venne poi presentato).
L'idea era di uscire in occasione della Fiera di Torino, che si sarebbe tenuta nell'aprile dell'anno successivo.

Ritornammo quindi a Sassari con l'enorme soddisfazione di aver ottenuto l'ok definitivo per Xiola, ma avevamo un ulteriore problema da risolvere.

Le difficoltà stavano nel fatto che Xiola diventava una vampira alla fine della miniserie (quella presentata inizialmente e che era già stata tutta scritta) e, quindi, non aveva molto senso studiare un n.0 che si collocasse cronologicamente prima del n.1.

Venne così fuori l'idea di collocarlo idealmente alla fine della miniserie e - sempre in teoria - avrebbe dovuto fungere da ponte fra la prima miniserie e un'eventuale seconda, che sarebbe uscita però solo in caso di successo della prima.Informato Werther anche di questo, Antonio e io ci mettemmo di nuovo al lavoro e in meno tempo di quanto ci saremmo aspettati elaborammo il soggetto del n.0.
Ricevetti l'imprimatur di Ade telefonicamente, qualche giorno dopo, quando mancavano non più di 30 secondi all'inizio di una partita di pallacanestro che - quel giorno - avrei pure giocato dall'inizio, in quintetto. Spensi il telefono con una voglia matta di spaccare il mondo tanto incontenibile che nel giro di una manciata di minuti ero di nuovo seduto in panchina e da lì non mi alzai fino al termine della partita.
Ma questa è un'altra storia.

Anima e core erano totalmente dedicate a Xiola e a cercare di dare il massimo e più del massimo. Werther sfornava tavole con regolarità e le cose che a nostro parere erano da rivedere si esaurivano sempre in una manciata di sciocchezze marginali. Inoltre, nel frattempo, s'era aggiunto all'allegra combriccola anche Girolamo Di Geronimo, al quale venne affidato il compito di occuparsi del logo dell'albo e, cosa altrettanto importante, del lettering.
Il timore iniziale di non essere in grado di rispettare la scadenza che c'era stata data (fine febbraio del '99) si consumò e venne sostituito dalla consapevolezza che stavamo davvero lavorando al nostro primo fumetto, che davvero sarebbe stato pubblicato e che davvero sarebbe uscito in concomitanza di una fiera.

In tutto questo, il ruolo di supervisori del lavoro cominciava a piacerci e a responsabilizzarci ulteriormente in maniera sana e produttiva, confortati comunque dal fatto che - in caso di necessità - avremmo sempre trovato Ade pronto a darci i consigli di cui avremmo potuto avere bisogno.
Una volta completato il lavoro sulle 24 pagine che componevano l'albo, Werther (accompagnato da Flavia, quella santa donna che ha avuto un ruolo di sostegno morale e motivazionale che va oltre l'umanamente quantificabile) venne a Sassari per una settimana, durante la quale ripassammo in rassegna le tavole, cercando di correggere tutto quanto non ci convincesse.

Un'unica tavola, però, fu al centro di una discussione piuttosto accesa in maniera divertente: la famigerata tavola 12.
Werther si incaponiva nel darle un taglio di un certo tipo ed Antonio e io ci eravamo arroccati su un'altra idea. Trovammo comunque una soluzione pacifica e incruenta: minacciammo a Werther di non fargli fare ritorno nella penisola e di tagliargli un orecchio, che avremmo spedito alla famiglia accompagnata da una lettera di richiesta di riscatto.
Il buon Wertheruccio divenne più mansueto di un micio neonato e anche quel (piccolissimo) scoglio venne superato.

Consegnammo tutto il lavoro ad Ade con una decina di giorni di anticipo sulla scadenza e, da quel momento, cominciò il conto alla rovescia in vista dell'uscita dell'albo.
Forse furono i giorni più difficili, perchè si trattava esclusivamente di aspettare: nei mesi precedenti avavamo avuto il nostro bel da fare, chi a scrivere, chi a disegnare, chi a letterare, chi a confortare, ma ora che mancava poco più di un mese, quella manciata di giorni (niente confronto all'anno di lavoro o quasi che c'eravamo appena lasciati alle spalle) sembrava insormontabile.

Arrivò comunque anche il giorno di partire per Torino e goderci ufficialmente il nostro esordio come autori.

Ma, anche questa, è un'altra storia, documentata in un prezioso fotoreportage a fumetti ad opera di quella santa donna di Flavia e che devo ancora decidere se postare o meno.

Per adesso, va bene così!


sarebbe stato bello



Nella primavera del 2000 uno studente dell'Accademia di Belle Arti mi chiede dei saggi su
Dylan Dog per una tesina che deve realizzare. Conoscendo la storica impermeabilità della locale Accademia nei confronti del fumetto, scandaglio più a fondo e chiedo il nome dell'eretico docente che gli ha consentito di affrontare un argomento del genere.
Il nome è Enrico Fornaroli.


Rimango interdetto per la sorpresa: Enrico era (ed è ancor oggi) uno degli editor dell'allora Marvel Italia, ma - non conoscendolo - non sapevo che fosse un docente e, soprattutto, che insegnasse a Sassari.
Contatto immediatamente Antonio e prendiamo appuntamento con Enrico per informarci sull'eventuale disponibilità della Marvel Italia a valutare progetti di semi-esordienti, ben sapendo di non aver alcun progetto definito in mano oltre a Xiola (e che non avremmo potuto nè voluto proporre perchè i diritti erano ancora della Liberty), ma - al contempo - sapendo che si tratterà di una chiacchierata del tutto informale.

Fornaroli dimostra una grande disponibilità e dei modi squisiti, passiamo gran parte della mattinata a parlare di fumetto a 360° e quando viene il momento della nostra richiesta, ci vengono spiegate delle questioni legate all'impegno della Marvel Italia nella produzione di materiale autoctono, poi Enrico ci chiede se abbiamo qualcosa di pronto da proporre.
Pausa di un paio di secondi (ma dilatati à la Sergio Leone, forse, da qualche parte, tichetta anche una pendola) fra la sua domanda e la mia incosciente risposta affermativa.
Puro bluff pokeristico, accompagnato dall'irrigidimento della colonna vertebrale di Antonio, di fianco a me, che osservo con la coda dell'occhio annuire a abbozzare un sorriso (più probabile si tratti di una smorfia inconsulta).

Enrico, giustamente, ci chiede di fargli vedere qualcosa, un qualcosa che in quel momento - però - non abbiamo e non possiamo avere. Tergiversiamo con non chalance e prendiamo un altro appuntamento per il lunedì successivo. L'unico, lievissimo, problema è che è già venerdì.

Quando andiamo via e risaliamo in macchina mi rendo conto della mezza coglionata che ho combinato e vengo preso da un certo senso di colpa, ma è anche vero che un'occasione del genere non poteva essere persa e - cosa ancor più
confortante - Antonio s'è ripreso dal mezzo shock e se n'esce con una domanda facile facile: "Cosa gli proponiamo"?

Abbiamo solo tre giorni per farci venire in mente qualcosa, elaborarlo, trattarlo, svilupparlo e dargli una sostanza, oltre che una forma professionale. Non sono per niente tanti, ma un solo giorno sarebbe stato decisamente peggio, ergo ci rimbocchiamo le maniche ed entriamo in uno dei tour de force più prostranti e sfiancanti che ricordi. Tre giorni a confrontare idee su idee, spunti, profili di personaggi improbabili e più credibili, ipotesi di storylines, tracce di ambientazioni storiche e geografiche: un vero e proprio pandemonio, che a metà strada assume le ben poco rassicuranti forme di un tunnel buio senza uscita.
La stanchezza comincia a trasformarsi in frustrazione, soprattutto perchè sembra che l'unico punto fermo sia il disegnatore che
vorremmo coinvolgere, Carmine Di Giandomenico.

Qua, noblesse oblige, è d'uopo un flashback.


Antonio e io ci siamo entrambi innamorati dello stile di Carmine grazie al suo lavoro sull'
Examen di Brolli, uscito fra il '94 e il '95. Dopo quella miniserie e qualche altro lavoretto sparso, però, non avevamo più sentito parlare dell'attività di Carmine (eravamo in era pre-internet...), ma il caso ci viene in contro a fine estate del '99: l'amico Maurizio Di Vincenzo viene in vacanza in Sardegna e - con lui - anche il buon Carmine: una persona fatta di pura energia, un condensatore di adrenalina straordinario, oltre che un disegnatore - direbbero in Francia - con i controcazzi.

Fine flashback.

Siamo sempre nel tunnel buio e poco accogliente del panico, non sappiamo da che parte sbattere la testa, poi qualcosa cambia e - passo passo - cominciamo ad ingranare.

Nel primo pomeriggio della domenica, lontano anni luce da tutti i timori del giorno prima, ci ritroviamo un'ambientazione della quale siamo soddisfatti, un protagonista ancora da calibrare bene, ma - tutto sommato - credibile e il soggetto della prima storia, oltre alle sinossi di qualche episodio successivo. Nella folle ingenuità e inesperienza, infatti, non abbiamo per nulla mirato basso tentando di proporre un one-shot o una miniserie, ma ci siamo prodotti nel folle stage diving di proporre una vera e propria serie.

Fantascienza metropolitana, filosofia antagonista di base e ambientazione mediterranea sono gli ingredienti principali.

Il formato e la foliazione sono quelli di
Rat-Man, ma con una storia principale di 40 tavole e delle storie back-up di 24.
Nel dossier di presentazione c'è tutto e di più, pure troppo: schede, dettagli, profili, di personaggi e luoghi, in un mare magnum di particolari quantitativamente impressionante ed esagerato.
Telefoniamo a Carmine per sondare la sua disponibilità, convinti che la risposta non potrà che essere negativa dato che - lo diamo per scontato - sicuramente Carmine sarà a lavoro per più di un editore. Così non è, purtroppo per lui, e accetta di leggere il dossier del progetto.
Gli spediamo tutto per e-mail e qualche ora dopo otteniamo anche l'adesione convinta ed entusiasta.

Antonio e io siamo alle stelle: 48 ore prima non avevamo niente in mano e ora ci ritroviamo un progetto del quale siamo soddisfatti e che ci gasa, oltre che - soprattutto - la possibilità di svilupparlo con il disegnatore per cui l'abbiamo pensato. Tutto magnifico.
Carmine si mette subito a lavoro sugli studi dei personaggi, con i quali però non possiamo integrare il dossier: è domenica, ricordate?, e la mattina dopo dobbiamo rincontrare Enrico Fornaroli.

Ci presentiamo da Enrico con la nostra bella cartelletta e con la tronfia soddisfazione di poter fare anche il nome di un disegnatore già di grande livello.
Enrico dà una scorsa al dossier e ci chiede qualche dettaglio, cerca di capire al meglio dove vogliamo andare a parare.
Legittimamente, ritiene la proposta per una serie troppo impegnativa ed ambiziosa e ci consiglia di provare a ristudiare il tutto e di riadattarlo sulla distanza di una miniserie, prendendosi comunque l'impegno di leggere il malloppone di pagine e di darci un parere più articolato in un prossimo futuro.

Qualche tempo dopo, rincontriamo Enrico e gli sottoponiamo sia la nuova struttura del progetto - articolato sencondo i suoi suggerimenti - sia un bel dossier iconografico realizzato da Carmine: il protagonista, i coprotagonisti e tutti i personaggi di contorno più importanti.
Fornaroli è favorevolmente colpito dal tutto e la cosa ci inorgoglisce, anche se la situazione è molto chiara: la Marvel ha in edicola Rat-Man, Fandango e sta per varare la mini Arkhain, se anche il nostro progetto dovesse piacere, bisognerebbe aspettare gli esiti delle ultime due testate per valutare solo a livello di ipotesi un'altra iniziativa.

La nostra proposta incontra l'interesse di Enrico, che - son passati un paio di mesi - ne ha anche parlato con Lupoi, al quale non è dispiaciuto, ma che rimanda tutto agli esiti al botteghino di Fandango e Arkhain.

Fandango
chiude, Arkhain non va oltre la prima miniserie e - di conseguenza - Antonio, io e Carmine decidiamo di proporre il progetto a un editore che non sia del mondo del fumetto, ma che pubblichi narrativa di fantascienza: la romana Fanucci. Prendiamo appuntamento.
Picche: Sergio Fanucci, il titolare della Casa editrice, non si fida del fumetto come linguaggio e ritiene improduttivo anche il solo valutare il progetto.


Fine dei giochi. Il dossier viene riposto in un cassetto, in attesa di essere rispolvrato in situazioni più adatte, ma Carmine entra in contatto con la Montego e da quel momento in avanti la sua carriera riprende a macinare come merita.



Bruno Enna lo sceneggiatore? no, il disegnatore...

Molti di voi sapranno che Bruno Enna, sceneggiatore di Dylan Dog, proviene (e continua a collaborarvi) dalla Disney.
Non molti sapranno che è sardo ed è di Sassari.

Un'esigua minoranza di persone è a conoscenza del suo passato di (bravo e promettente) disegnatore.
Giusto l'ex cricca di SeD - invece - sa che Bruno e io abbiamo realizzato insieme alcune storie brevi, che non sono mai state pubblicate.
Per fortuna di Bruno, il sodalizio s'è interrotto quando ha deciso di partire per Milano, dove ha frequentato prima la Scuola del Fumetto e successivamente l'Accademia Disney, per poi iniziare l'ottima carriera di sceneggiatore che continua tutt'ora con grandi soddisfazioni.

Qua sotto trovate due delle tre storie che abbiamo fatto insieme (una quarta rimase giusto al livello di work in progress), risalenti entrambe al 1993/94.


L'ultima lettera è un melò stracciamutande che allora mi sembrava una buona storia...









Volatili, invece, scritta con Alessandro Pinna, è una specie di tributo a Ken Parker che avevamo intenzione di proporre a Berardi e a Milazzo, col fine ultimo - se mai avessimo avuto la loro autorizzazione - di sottoporla al quotidiano di Sassari per la campagna contro gli incendi (orrore che flagella costantemente la nostra isola soprattutto nel periodo estivo).




dallo spazio profondo alla Magna Grecia

L'approccio post-moderno al fumetto? L'ho inventato io.
Il citazionismo sclaviano in Dylan Dog? Bah... ero in anticipo di 3 anni buoni.
Basta vedere quel caposaldo del fumetto occidentale che è Spazio 1999 in: Alien! (8/12/83 dice la cover), one-shot in cui il cross-over è solo uno degli elementi costitutivi di una struttura narrativa coi fiocchi.
Per non parlare dei dialoghi! Eccone un esempio (riporto tutto esattamente, errori compresi):


- ehi Joan t'è andato storto qualcosa o cosa ti è successo?

- gli è salita la bava alla bocca ha delle crisi eppiletiche.



L'anno successivo, nel giugno del 1984, lancio una serie imperdibile: Kòbarisk il greco. Lascio parlare l'introduzione (anche qua, senza alcuna correzione):

Kòabarisk il greco è nato il 28 maggio 1956 a Kastorìa (Grecia nord orientale). Alla morte dei genitori, avvenuta nel 1976, si rifugia sul monte Olimpo, l'antico monte dove si credeva risiedessero gli dei. Qui, in una caverna, ha a disposizione le apparecchiature elettroniche più sofisticate, poichè può usufruire di un'ingente eredità e le può usare benissimo grazie ad una laurea in ingegneria elettronica, avuta nel 1978 ad Atene. Kòbarisk aiuta la polizia nel combattere l'ingiustizia e usa come arma un coltello-spada (specie di gladio romano) dai magici poteri, trovato conficcato nella roccia, sulla vetta dell'Olimpo. Non mi resta che augurarvi buon divertimento.

cronologie


Alla fine il cassetto l'ho aperto e presto vi delizierò con alcune perle di inestimabile valore.
Son saltate fuori delle cose letteralmente straordinarie, tanto straordinarie che le centellinerò con parsimonia e sadismo.


Non sono riuscito a recuperare l'opera omnia della mia produzione fumettistica giovanlie, ma già allora intuivo che in futuro avrei avuto necessità di districarmi nel mare magnum dei miei capolavori e su un albo avevo riportato (con le date!) tutti i titoli dei fumetti che avevo realizzato.
Ve li riporto qua sotto, in rigoroso ordine cronologico, specificando anche di quali albi sia rientrato in possesso e quali siano andati dispersi (provate a pensare quali somme potrebbero valere ora su e-bay!!!).
  • 1983 - Gim Toro (2 numeri) - non ritrovato
  • 1983 - Zip Zap (7 numeri) - non ritrovato
  • 1983 - Spazio 1999 in: Alien! (numero singolo) - ritrovato
  • 1983 - Kòbarisk il greco (2 numeri) - ritrovato
  • 1984 - Tim Jim (2 umeri) - non ritrovato
  • 1984 - Jeff (1 numero) - ritrovato
  • 1984 - Sandy Lorence (3 numeri) - ritrovato
  • 1985 - Mr. Mister (5 numeri) - ritrovati i nn.2 e 3
  • 1985 - Jerome (4 numeri) - ritrovati
  • 1985 - Il mistero di Villa Angela (numero singolo) - ritrovato
  • 1985 - Nik Safari (1 numero) - ritrovato
  • 1985 - Harry Pitfall (1 numero + cover n.3) - ritrovati
  • 1986 - Thomas Camerun (1 numero) - ritrovato

problemi



Certe cose è meglio rimangano sepolte nei cassetti e nella memoria, sempre che le proprie manie egocentriche non si sposino con un'irrefrenabile autoindulgenza, seppur passeggera.
Oppure, sempre che non si abbia la consapevolezza di aver imparato dai propri errori e, su questa base, di poter guardare al proprio passato con serenità zen. :-)

La tavola che vedete è la prima di Problemi, breve storia mia disegnata da Fabio Lanza e pubblicata sul n.0 di SeD e che sarebbe dovuto essere il primo episodio di una serie con protagonista il dottor Mathias Bronsky, lo psicologo dei più noti personaggi dei fumetti.

Se qualcuno riesce a indovinare con precisione in quale episodio di quale nota serie a fumetti italiana è apparso un personaggio omonimo e che svolgeva sempre la professione di psicologo, prometto che NON posterò anche le altre pagine della storia.
Ovviamente non può partecipare al giochetto l'ex accolita di rancorosi di SeD, mentre avviso tutti gli altri che san gùgol non potrà aiutarli...


di palo in frasca


L'avevo detto all'inizio che avrei navigato a vista, sapendo che tanto non sarei riuscito a seguire un filo logico e coerente nel postare. In teoria dovrei (e vorrei) continuare a parlare di SeD, ma non mi riesce proprio.
Allora - da buon incosciente - metto altra carne al fuoco, sperando di riuscire a cucinarla a dovere nei prossimi giorni.

Con un sontuoso flashforward di qualche anno salto a piè pari la bellezza di 7 anni e introduco un altro argomento: Xiola, il mio primo - e fino a questo momento unico fumetto pubblicato da un editore, la Liberty di Ade Capone - scritto con Antonio Solinas e disegnato da Werther Dell'Edera.
Anche qua, le cose da dire sarebbero tantissime, ma per ora - come dicevo - prendete tutto questo come un promemoria per qualche futuro post.


elettrocardiogramma sotto sforzo


Mica facile parlare di SeD.

La fredda cronaca dice che SeD era una fanzine fotocopiata, formato A4, dal numero di pagine oscillante fra le 32 e le 56 e della quale sono usciti 6 numeri (da 0 a 5, più un numero speciale in formato ridotto) fra il marzo del 1992 e il luglio del 1994.

Ma con la fredda cronaca preferisco incartarci il pesce.

SeD è stata un triennio, SeD è stata una forza catalizzatrice, SeD è stata sangue, sudore e lacrime, SeD è stata la Lucca del '92 vissuta quasi in prima fila, in trincea, SeD è stata un'esperienza collettiva e di crescita individuale, SeD è stata la madre di amicizie forti, di notti insonni passate a farsi trapanare i timpani da una stampante ad aghi, SeD è stata il paese dei balocchi e senso di colpa nei confronti dell'università, SeD è stata Alessandro, Antonio, Antonio, Cristiano, Fabio, Gianluca, Jacopo, Manuel, Paolo, Massimiliano, Tony, SeD è stata e da più di dieci anni non è più.

Mi sa che per ora va bene così, altrimenti non mi regge la pompa.


"ti va di venire a Lucca?"


Settembre 1991, dopo il diploma preso nel luglio precedente mi ritrovo a lavorare in quella che oggi è la mia libreria.
Faccio il commesso durante il periodo della vendita dei testi scolastici.
Una mattina vengono a trovarmi Gianluca e Jacopo, che - belli pimpanti e allegri - mi fanno:

"Ti va di venire a Lucca?"

Fino a quel momento avevo giusto sentito nominare la fiera toscana e - complice una situazione economica personale non floridissima - non avevo mai preso in considerazione l'ipotesi di andarci.

Però sto lavorando e ancora non ho ritirato il primo stipendio.

Ci rifletto giusto 3 secondi e mi ritrovo in un amen ad organizzare un viaggio non previsto, che diventa immediatamente necessario. Viene coinvolto anche Alessandro e prenotiamo nave e albergo (il Napoleon, chi sa se esiste ancora).

Circa un mese dopo siamo sulla Tirrenia per Genova, in una cuccetta per quattro, a immaginare come sarà sta benedetta fiera di Lucca. Il gioco continua sul treno per Viareggio, dove dovremmo prendere la coincidenza per la cittadina toscana sede della manifestazione. Uno sciopero, però, ci costringe a una sosta forzata di qualche ora e arriviamo in albergo solo nel primo pomeriggio.

Doccia veloce e ci incamminiamo verso il Palasport, attraversando e poi circumnavigando le mura (solo più tardi scopriremo che abbiamo allungato inutilmente il percorso).

Fuori dai cancelli un'orda disumana di ragazzi zainomuniti si accalca per entrare e dopo un po' ci ritroviamo all'interno del palazzetto. E' anche l'ultimo momento in cui rimaniamo in gruppo compatto perchè ognuno segue il proprio istinto e ci gettiamo fra gli stand a sperperar quattrini come se fossimo quattro figli di papà.
Solo un'ora dopo ci ritroviamo sulle scalinate, ognuno a magnificare i propri acquisti e a confrontare le sensazioni del primo impatto con la fiera. Ricordo ancora con estrema nitidezza gli sguardi sorridenti e sprizzanti di adrenalina di Alessandro, la finta compostezza e non chalance di Gianluca, il fanciullesco gioire di Jacopo.

Una delle sorprese più entusiasmanti, però, è la quantità esagerata di fanzine dedicate al fumetto. Su tutte, Made in USA e (in particolare, per quanto mi riguarda) Fumettando.

Nei giorni successivi continuano a moltiplicarsi gli acquisti, prendiamo dimistichezza con la dislocazione degli stand, per la prima volta in vita nostra vediamo come son fatti gli autori di fumetti, fino a quel momento dei semplici nomi sugli albi conservati nelle nostre librerie.
Recuperiamo disegni con dedica e facciamo la conoscenza di nerd allampanati e meravigliosi.
Il più straordinario è un tizio che mi ferma trafelato sul prato fuori dal palazzetto e mi piazza un pippone di mezz'ora su Star Magazine. Così, senza nemmeno dire ciao. Esperienza marchiata a fuoco, impagabile!

Ripasso spesso davanti ai tizi di Made in USA e Fumettando e decido di comprarne delle copie.

Il giorno della partenza ho finito i soldi e riesco anche a indebitarmi con Gianluca perchè non riesco a rinunciare all'acquisto di un piccolo poster di Nathan Never.

Il viaggio di rientro in treno è carico di un silenzio malinconico, alimentato dalla spossatezza fisica e dall'avidità con cui ognuno di noi rimira albi e volumi comprati alla fiera.
Made in USA e Fumettando, però, le consumo con gli occhi.
Alessandro mi aveva fatto conoscere mesi prima Fumo di China e un altro paio di fanzine (Comix e un'altra di cui ora proprio non ricordo il titolo), ma quelle avevano un'energia diversa, palpabile, contagiosa.
Sulla nave, in cuccetta, io e Alessandro parliamo solo di questo.

Non possiamo ancora saperlo, ma sta nascendo SeD - Storie e disegni.

i cassetti socchiusi


Sono convinto che che chiunque legga fumetti abbia avuto almeno una volta nella vita il desiderio di realizzarne uno. Scrivere e disegnare sono forme d'espressione che necessitano di nulla per essere: un foglio bianco (o un muro, a seconda dell'età) e una matita o una penna. Il prezzo per esprimersi è ridicolo. Non certo quello che ci sarebbe da pagare per poter girare un film o fare musica, per dire. Sono altrettanto convinto che la stragrande maggioranza dei lettori di fumetti non si sia solo limitata a desiderare di realizzarne uno, ma abbia saltato il fosso e si sia ritrovata a consumare graffite e cellulosa. Banale, ovvio e scontato outing: a me è successo. Il problema è che questa scimmia mica m'è passata, ma su questo tornerò nei prossimi giorni.

Stamattina il cassetto socchiuso della scrivania, quello in cui tengo - nel più classico caos primordiale domestico - tanti frammenti materiali della mia memoria, mi occhieggiava suadente e invitante, ma pure misterioso e severo.
Non l'ho aperto, forse solo per ritrovarmi a rovistare nel torbido piuttosto che recuperare qualche bel ricordo, ma so che lì è conservato un piccolo plico di fogli di carta a quadretti al quale continuo ancor oggi a dare un immenso valore affettivo e che è composto di pseudo-albetti sghembi e diseguali, dedicati ad eroi dai nomi improbabili come Mr.Mister, Jerome o Thomas Camerun.

Per ora stanno lì, ma so che - prima o poi - quel cassetto verrà aperto.

Ciò che mi piacerebbe fare ora, invece, è questo: c'è qualcuno fara voi che da ragazzino ha provato a realizzare un fumetto? Lo conservate ancora? Se la risposta è si ad entrambe le domande, ve ne pongo una terza: avete voglia di mandarmene per e-mail delle scansioni? Se continuate ad annuire, la mia idea sarebbe quella di postare qualche immagine qua sul blog. Ai più timidi e ai professionisti che vogliano partecipare a questo gioco garantisco l'anonimato e massima riservatezza.


cominciamo dall'inizio


Prima elementare, due orecchie a sventola da tenere abbottonate dietro la nuca per non rischiare di prendere il volo alla prima folata di vento, occhi grandi, scuri ed espressivi, magro come un chiodo, grembiule nero e fiocco bianco. Guardo l'obiettivo della macchina fotografica con un'espressione che è in perfetto equilibrio fra Charlie Manson e Buster Keaton. Nella mano destra tengo la piccola cartella con - immagino - il sussidiario, qualche quaderno, penne e minutaglia varia di cancelleria.

Nella sinistra, invece, c'è Tex che cade da cavallo colpito alle spalle da un vile colpo di pistola. E' stato il primo fumetto che ho scelto di acquistare.
In mezzo, 28 anni. No, dico: 28 anni! E la differenza fra quel giorno e oggi è che allora non sapevo chi fossero Galep, Gianluigi Bonelli e Ferdinando Fusco. Non ricordo niente della storia, nè un accenno di trama nè chi - oltre a Tex e i suoi pards - affollasse le pagine di quell'albo che ancora possiedo, ma che non ho più avuto e voluto avere occasione di rileggere.

Guardo il bianco e nero della foto, ricordo il bianco e nero ingiallito delle pagine di Guerra sui pascoli, ricordo la terza di copertina pasticciata coi pastelli a cera. Sicuramente un verde e un blu, un giallo, forse un rosso.
Non ho mai avuto il desiderio di colorare gli albi in bianco e nero, non mi mancavano i colori. Poi ho anche imparato a non pasticciare nemmeno più la terza di copertina (mai le altre, quando lo facevo, sempre e soltanto la terza, anche se non di tanti albi).