Perso purtroppo al cinema, recuperato a noleggio in dvd e prontamente ordinato per poterlo avere. Sì, perchè Appaloosa è davvero un bel film.
Ed Harris coscrive, coproduce, dirige e interpreta un robusto, onesto e secco western che si muove negli argini della tradizione, salvo farlo con movimenti sghembi e a tratti imprevedibili. Laddove normalmente la sottotrama d'ammmore cercherebbe di rincicciare il plot principale per veri maschi, qua - invece - Harris riesce a mettere in negativo le consuete proporzioni e lascia quasi sullo sfondo il confronto con la nemesi (un ingessato ma sempre da plauso Jeremy Irons), preferendo concentrarsi sulle dinamiche della figura geometrica più elementare, il triangolo (che a tratti diventa pure quadrilatero e pentagono).
In mezzo, fino a quel momento, tempi lenti e avvolgenti, polvere, silenzi e parole giuste (senza paura di sbagliare nel trovarle) così come il numero di pallottole (una delle quali texianamente destinata ad un cavallo e non all'uomo che lo cavalca e che costituirà il giusto investimento che permetterà ai tre di uscire da una brutta situazione), le nagnifiche ruge di Lance Henricksen e una voce off che arriva solo quando deve arrivare.
Gentile Direttore, trascorso un anno da un attacco mediatico di inaudita volgarità a cui sono stata sottoposta, sono qui a fare alcune considerazioni su vicende che in questi giorni ci sono state date in pasto con una morbosità e un’ossessività che ricordano molto quelle che hanno riguardato la sottoscritta.
Sono qui a dire la mia, se mi è consentito. Anche forte e fiera di un lavoro svolto, in soli dodici mesi, con impegno ed autentica passione in favore e a tutela dei soggetti più vulnerabili di questo Paese.
Certo, mi riconosco una buona dose di coraggio se sono qui, oso parlare e, di più, vorrei addirittura dare, sottovoce, ma molto sottovoce, un consiglio. Che è quello di fare un passo indietro, di ritornare al di qua di quel limite della decenza e del buon senso che è stato abbondantemente superato.
Insinuazioni pesanti e volgari hanno accompagnato la mia scelta sciagurata. Quella di una giovane donna che, dopo una (a dire il vero) assai insignificante carriera in tv ha deciso di accettare la sfida di fare politica con il partito di Berlusconi. Attenzione. Giovane donna, televisione, Berlusconi.
Il Parlamento vede tra i suoi banchi alcuni uomini dalle assai dubbie capacità politiche. Ma nessuno si sorprende. L’Aula di Montecitorio è stata frequentata da personaggi condannati per banda armata e concorso in omicidio, facinorosi violenti, condannati per detenzione e fabbricazione di ordigni esplosivi, protagonisti di risse e di indecorosi episodi di cronaca.
Ma nessuno mai si è indignato.
Onorevoli che candidamente hanno ammesso di prostituirsi prima di approdare alla Camera, altri che, durante il loro incarico, sono stati sorpresi a contrattare per strada prestazioni con transessuali.
Mai nessuno si è scandalizzato. Mai.
Allora viene un sospetto.
Che sia Berlusconi l’ingrediente indigesto? Sì, è proprio così, Berlusconi indigna, scandalizza, inquieta.
Forse è arrivato il momento di mettere un freno a questa follia collettiva, a questo vizio malsano, che qualcuno tenta di fomentare, di guardare e giudicare la politica dal buco della serratura, di giudicare le persone per l’aspetto estetico e per il lavoro, seppur onesto, che hanno fatto in passato.
È assurdo, dopo anni di battaglie, è come tornare indietro quando i criteri selettivi per accedere alla politica erano il censo e il sesso.
Forse è proprio il caso di dire che si stava meglio quando si stava peggio!
Credo che si sia superato il limite del buon senso e tutti abbiamo responsabilità e doveri. A cominciare dalla politica che deve ispirarsi a criteri di rigore e di serietà . Quei criteri che hanno indirizzato l’attività di un governo che ha risolto gravi emergenze e problemi quotidiani con tempestività ed efficacia, grazie ad un presidente del Consiglio che è riuscito non solo ad interpretare le speranze e i sogni degli Italiani, ma anche a tradurli in realtà . Questo, quello delle cose realizzate per il bene del Paese, è il terreno di confronto sul quale vogliamo misurarci e di cui deve rispondere agli italiani il presidente Berlusconi. Un leader mai prepotente o arrogante, consapevole di una innata capacità seduttiva che ha usato a fini di ricerca del consenso e non per scopi morbosi.
Un uomo leale, perbene e rispettoso.
Una persona di garbo e gentilezza, doti che qualcuno vorrebbe declassare a mera finzione e che invece sono autentiche. E, lasciatemi pure dire che, in un mondo popolato da gran cafoni, sono qualità rare ed invidiabili. Il resto, tutto il resto, sinceramente sono affari suoi. O, almeno, così dovrebbe essere in un Paese «normale».
So che ho ben poca esperienza, ma credo di averne quanto basta per auspicare che l’Italia diventi un Paese «normale», dove chi fa politica viene giudicato per ciò che fa e chi governa per come governa. Per fare questo, però, c’è bisogno di uno sforzo di volontà da parte di tutti.
Forse è arrivato anche il momento che chi trascorre le sue giornate a criticare e a farci lezione, scenda dalla sua cattedra di cartapesta, si sporchi le mani con i problemi veri e con le questioni che veramente interessano alla gente e dia il suo contributo alla crescita e allo sviluppo dell’Italia.
Qualcuno lo troverà più noioso, ma sarebbe sicuramente più proficuo.
Il Paese ne avrebbe un gran vantaggio. La qualità e il livello dell’attività politica, che qualcuno si diverte a far scadere verso il basso, ritroverebbero dignità e centralità .
Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità (Pdl) (da Il Corriere della sera)
Ero tentato di evidenziare alcuni illuminanti, straordinari passaggi, ma poi mi sono convinto che l'effluvio di parole in libertà nella sua intatta completezza fosse il miglior commento a se stesso. Non mi commuovevo così tanto da quando ho visto questo:
RG - Fuori dal sistema di Pierre Dragon e Frederik Peeters Rizzoli/Lizard 15.00 €
Sulla bravura di Peeters non è che ci fossero dubbi (se non avete letto Pillole blu o Lupus, correte a farlo), ma l'idea di vederlo cimentarsi in un poliziesco mi ha lasciato inizialmente qualche dubbio. Dubbi spariti già a pagina 2, quando i suoi disegni e l'ispirazione di Dragon mi hanno catturato senza mollarmi un attimo prima della fine. Non certo per il ritmo della narrazione o per l'affastellarsi dei colpi di scena (molto lento ma costante, il primo, e quasi inesistenti, i secondi), ma per la capacità dei due autori di creare dei personaggi interessanti tanto da seguirli a prescindere, in sospeso tra fiction e life drama, in una storia semplicemente bella. E molto pure.
Joker di Brian Azzarello e Lee Bermejo Planeta/DeAgostini 13.95 €
Il personaggio di Joker è stato declinato un po' in tutte le salse e raccontarne le vicende potrebbe apparire velleitario. Non quando però al timone ci sono due autori del calibro e delle capacità di Brian Azzarello e Lee Bermejo. La chiave di lettura crime/noir che Azzarello dà nel caratterizzare tanto Joker quanto il restante pantheon di cattivoni batmaniani è vincente, anche quando si prende senza batter ciglio delle licenze mica da ridere (vedi Killer Croc). I disegni di Bermejo sono semplicemente ottimi e perfetti per le atmosfere create dallo sceneggiatore: un volume che avrebbe meritato una confezione più pulp e meno fighetta, ma queste sono quisquilie, dato che sulla ciccia c'è solo da esser contenti.
The Punisher: Valley forge, Valley forge di Garth Ennnis e Goran Parlov Panini Comics 13.00 €
Avevo già detto quanto di buono pensi del lavoro di Garth Ennis su Punisher e confermo anche dopo la lettura di questo Valley forge, valley forge: arrivati all'ultimo capitolo della sua gestione del personaggio, il bilancio finale conferma tutte le migliori cose possano essere dette sull'autore irlandese. Peccato solo che in questo caso proceda troppo per chiacchiere e troppo poco per fatti, tanto da costringere il pur fenomenale Parlov a un'esagerazione di talking heads e a una sovrabbondanza di inquadrature su striscia che ne sacrificano la maestria narrativa.
Promessa d'onore su Spider-man: La tela della follia di Bruce Jones e Lee Weeks La Gazzetta dello sport/Corriere della sera 8.99 €
A suo tempo m'ero persoPromessa d'onore, storia della serie Tangled web realizzata dal tandem Bruce Jones/Lee Weeks. L'ho recuperata nel volume della collana che Gazzetta e Corriere della sera hanno dedicato tempo fa a Spider-Man e pur nell'altalenanza fra momenti più riusciti e meno della storia (un po' stucchevole nello spunto e nella soluzione, banalotta nella definizione di molti personaggi), mantiene una sua gradevolezza, che si fa elevata bellezza nel momento in cui dovessi pensare unicamente ai disegni del (sottovalutatissimo) Lee Weeks, un disegnatore con parecchia classe nel segno e invidiabile arte nell'efficacia narrativa.
Phantom - L'uomo mascherato n.1 di Avenel, Bess, Lindahl, Darrel, Ewers, Bishop e Spadari Eura Editoriale 3.00 €
Alla notizia dell'uscita della serie son partito a cazzo dritto perchè per Phantom ho una passione/amore da delirium tremens che mi dovrebbe far meritare qualche chiacchierata con uno di quelli bravi, ma ciò non toglie che - in un recondito spazio del mio cervello - so ancora distinguere fra una storia raccontata bene e una serie di storiuccole rabberciate, stupidine, retoriche, rigonfie di politically correct. Peccato che spesso siano pure disegnate bene. Ribatto sullo stesso punto: qualche editore sarebbe interessato a un bell'antologico di omaggi al personaggio di Falk fatti come si deve?
Primo modo - conoscere per caso un bellissimo blog come Movies in frames: non servono parole per descriverlo, è tutto nel titolo e nell'immagine esemplificativa qua sopra.
Secondo modo - trovare nelle parole di un gigante quelle che non saresti in grado nemmeno di pensare:
Retorico, frontale, trombone, moralista, antipatico, (in)elegante, polemico, logorroico, manicheo, tronfio, fazioso, esagerato, muscolare. Il cinema di Oliver Stone è così, senza compromessi, senza sfumature e negli anni ha pure perso di smalto (nel mio continuum spazio-temporale, ad esempio, non sono mai stati girati Alexander e World Trade Center), ma continua ad essere un dispensatore di storie che non passano inosservate, che non avranno la persistenza di una carezza e rimangono addosso spesso come il segno di un ceffone, ma che non se ne vanno.
Talk Radio è uno di questi film (ai quali aggiungerei quasi tutti quelli fra Salvador e Ogni maledetta domenica) e nella mia personale esperienza di spettatore, poi, continua a posizionarsi molto in alto in quella magmatica e ideale classifica dei film da portarsi su un'isola deserta (deserta-deserta, senza gli stronzi di Lost).
In teoria dovrebbe essere il film più minimalista di Stone, ambientato com'è quasi completamente negli studi di un'emittente radiofonica, ma anche in questo caso il buon Oliver riesce a volte a muoversi con la grazia di un elefante in una cristalleria, riuscendo però a tenere la storia e a compensare con molte raffinatezze registiche tra riflessi nei vetri e movimenti di camera. Lascia completamente a briglia sciolta Eric Bogosian, che consegna alla storia del cinema un'interpretazione maiuscola e che tratteggia magnificamente il personaggio (realmente esistito) di Barry Champlain, conduttore radiofonico di Dallas che dai microfoni della KGAB lancia i propri strali verso i propri concittadini e l'america tutta. Champlain parla, insulta, apostrofa, sbeffeggia, critica, distorce, mente, strumentalizza e arriva a un lucido delirio finale dinanzi al cuore nero dell'America (e al proprio), spremendolo fino in fondo ("aveva un uccello piccolo, ma si divertiva a vedere se rimaneva dritto contro vento") affrontando temi come il razzismo, l'aids, la droga, l'omosessualità , l'ebraismo, il nazismo, l'handicap, la depressione, la libertà di pensiero. La straordinaria invettiva-monologo del pre-finale continua a mantenere intatta ancora oggi, dopo vent'anni, una carica dirompente inarrestabile e straordinariamente densa.
E' con tutta probabilità una delle testate a fumetti più longeve al mondo e in otto decenni e mezzo ha sfornato, presentato e pubblicato una quantità di autori sterminata (davvero improbo scegliere anche solo una manciata pur solo a rappresentare gli altri): Il Giornalino della Edizioni San Paolo spegne 85 candeline. Auguri. Qui info su una doverosa mostra allestita per l'occasione.
Ci sono opere importanti perchè aiutano a ridefinire i limiti di riferimento qualitativo. Scarface - Diavolo mascherato è una di queste.
Peccato - però - che la miniserie di Joshua Jabcuba e Alberto Dose (pubblicata negli USA da IDW Publishing e in Italia da Freebooks) riesca a farlo, ma permettendo di ridefinire il concetto di opera involuta, confusionaria, derivativa e pretenziosa. E meno male che il punto di partenza era una materia dopo tanti anni ancora incandescente, ricca epotente: nientemeno che Scarface. Più in particolare, lo Scarface di De Palma interpretato da Pacino.
Invece di sfruttare il vantaggio dell'epos di riferimento, invece di godere della possibilità di attingere a un bagaglio di suggestioni sterminato (le origini del personaggio, l'ambientazione geografica, l'ambientazione storica, il film stesso), Jabcuba ridigerisce tutto e lo ripropone in un insulso polpettone gore e tamarro di quart'ordine, assecondato da un Dose più incline a prendere tutto il prendibile da Risso e molto meno a mettere in gioco cuore e panza. E lasciamo perdere la tavolozza di colori. Tempi narrativi a scatti e a prolassi, atmosfera zero, personaggi pallosi, la Storia ridotta a bigino, il materiale di partenza lasciato stolidamente troppo e solo sullo sfondo: ne avessero beccata una giusta anche solo per sbaglio, sarebbe stato semplicemente un fumetto mal riuscito.
La meticolosità del fallimento, invece, induce quasi al sospetto della volontarietà e consegna invece Scarface - Diavolo mascherato a quell'ensamble di opere che - come si diceva in apertura - aiutano a capire cosa si intenda per fumetto brutto. Ma proprio tanto.
Intanto, è d'obbligo ricordare che il 37 è il numero naturale dopo il 36 e prima del 38.
Stabilito quindi di che cosa stiamo parlando, possiamo allargare la nostra serie di considerazioni fino ad un'altra serie di nozioni: mi pare fondamentale, innanzitutto, specificare che il 37 è il dodicesimo numero primo, dopo il 31 e prima del 41. Inoltre - e qua le cose si fanno più interessanti - forse non tutti sanno che non ci sono altri numeri primi q tali che la lunghezza di periodo del relativo reciproco, 1/37, sia equivalente alla lunghezza di periodo del reciproco di q, 1/q: tanta consapevolezza mi ottunde, non so a voi. Solo i più sprovveduti non si possono accorgere che si tratta di un primo permutabile in 73. Però, è meno noto che se un multiplo di tre cifre di 37 viene ciclicamente permutato, per esempio 481 diventa 148 o 814, allora i numeri risultanti sono ancora multipli di 37. L'unico altro numero che ha questa proprietà nell'ambito delle tre cifre è 27.
Ho riflettuto molto, poi, sul fatto che ogni numero naturale è la somma di al più 37 quinte potenze, ma non sono ancora giunto a una conclusione chiara. Vi informerò non appena accadrà .
Un paio di punti fermi sono che 37 è anche il numero chimico nientemeno che del Rubidio (che si trova solo in provincia di Rb e questo è già più stranino) e anche che 37 è la temperatura comporea, in gradi centigradi, considerata normale per gli esseri umani.
Agli amanti della aneddottistica da aperitivo, invece, consiglio di appuntarsi due cose: la prima è che nella smorfia il 37 è il numero che rappresenta il monaco, mentre la seconda è che la rotella della roulette ha - guarda caso - trentasette scanalature. 37, infine, è anche il numero di 100 Bullets la cui cover occhieggia qua in alto.
Tutte cose, comunque, mica da ridere. Quello che mi preoccupa un po' di più è l'incarognirsi degli acciacchi. Ma temo che ci tornerò su anche l'anno prossimo, quando le mie doti di preveggente mi suggeriscono che andrà molto il 38.
Intanto, nel frattempo, c'è qualcuno con cui condividere le sofferenze: qui, quo e qua.
Per chi sabato fosse a tiro, lo aspetto in libreria. Sia la mattina che il pomeriggio. Chi invece non se la sentisse di fare un viaggio oltremare solo per questo, può provare a vedere QUI se c'è nella sua zona qualche collega che ha aderito.
La Double Shot ha proposto mesi fa In carne e ossa,la prima antologia di racconti di Koren Shadmi, e ci riprova ora con questo Anatomia del desiderio presentato all'ultima Comicon, mandando a segno anche il secondo colpo.
Pur essendo giovanissimo e pur cimentandosi in una forma di racconto a forte rischio paraculata inconsistente e ombelicale, Shadmi denota invece uno sguardo, una cifra stilistica e una capacità affabulatoria delle più sorprendenti e convincenti che mi sia capitato di incontrare in questi anni.
Le relazioni interpersonali per Shadmi sono l'occasione per l'essere umano di mostrare non solo tutte le proprie debolezze ma più spesso il suo peggio nell'imporle o nel difenderle o nel tentativo di comprenderle. In queste due antologie l'autore israeliano turba, inquieta, mette alla prova il lettore declinando il tema del corpo e del desiderio attraverso la lente deformante (che altera le forme, ma esalta i concetti) del surreale, affidandosi con disinvoltura e alla propria sensibilità grafica, fatta di un segno morbido e tagliente, così come estremamente robusta sotto il profilo narrativo (e pure elegante, che non guasta quando non si cerca l'effetto fine a se stesso).
Nemmeno un simposio fra Mazzuchelli, Munoz, Mignola, Miller, Phillips, Risso e Toth avrebbe potuto partorire una fantasia e geometria di ombre tanto meravigliosa. E ci vedo pure un tocco di Sorrentino in vena di ideali sequel de Il divo: Il dio del crimine. Sul resto della vicenda, solo crasse, sontuose, becere, rumorose, irrispettose e goderecce risate. Appena ho tempo, riparto da qui: una volta incrociata quell'immagine, sulla sigla di Porta a porta, tutto il resto m'è sembrato superfluo.
Nel corso degli anni ho letto Savarese sulle pagine dei settimanali Eura, ma con estrema irregolarità (e ancora più di rado nella collana Euracomix) e quasi esclusivamente per i disegni di DomingoMandrafina: non avendo mai avuto la possibilità di leggere la saga dall'inizio, non sono mai riuscito ad inserirmi in corso d'opera*.
Ora che Savarese è uscito nella collana I maestri del fumetto curata da Magic Press per Panorama/Mondadori, ho avuto modo di apprezzare una volta di più l'immensa classe del disegnatore argentino (nonostante la stampa a cacarella, che si mangia un sacco di segni), ma - anche - di avere conferma della bravura di RobinWood, sceneggiatore fluviale, inarrestabile, che ha all'attivo un numero impressionante di (belle) opere.
Savarese si inserisce nella grande tradizione del feulleiton di formazione sudamericano anni '70/'80, ma contaminato pesantemente da atmosfere, situazioni e intrecci propri delle gangster story (QUI qualche nota chiarificatrice in più). Certo, i testi e la prosa di Wood sono a volte stucchevoli e sovrabbondanti di retorica, ma Savarese regge bene all'usura del tempo e mantiene una grande forza narrativa, grazie soprattutto a una trama solida e alla ricchezza del pantheon di personaggi. Sui disegni di Mandrafina, poi, manco sto a dire troppo: meravigliosi. E sono praticamente certo che - per alcune situazioni - il buon Miller se lo sia più che guardato per il suo Sin City.
*e la lettura di quest'antologia non ha fatto altro che aumentare il desiderio di rivedere proposto Savarese in un'edizione completa, in b/n e stampato a dovere...
A Napoli doveva essere portata in anteprima, ma c'è stato un ritardo con la stampa e la redazione ha fatto circolare all'incontro di presentazione uno stampato di prova. Bella grafica, contenuti più che stuzzicanti, imperssione generale ottima. Spero che alla lettura più attenta l'impressione più che positiva persista, anche perchè le intenzioni non mirano certamente in basso: La rivista a fumetti! Mensile, cartacea, attenta alla realtà . La rivista a fumetti rinasce per un nuovo pubblico che la aspetta. Fumetti e fumetti, e anche racconti, interviste, immagini, ricordi, contemporaneamente alla vita stessa.
Intanto, apprezzo la sconsideratezza, il coraggio snob col quale non si usa nemmeno una volta il termine graphic novel. C'è da rabbrividire d'emozione. Per chi volesse sapere un po' di più, c'è il blog apposito.
Leggo su L'Espresso la recensione che Oscar Cosulich fa di Contratto con Dio(Will Eisner, Fandango libri) e noto che slalomeggia fra i termini riuscendo a non utilizzare mai la parola fumetto (se non in riferimento ai primi passi di Eisner), come se se ne vergognasse, come se a utilizzarla l'articolo ne risultasse in qualche modo sporcato, come se i suoi lettori - a leggerla - ne potessero risultare offesi o la associassero a qualcosa di sconveniente.
Qualche ora dopo, per fortuna, capito sul blog di Andrea Plazzi e - con colpevole ritardo - leggo questo suo illuminante pezzo che rimette tutto in prospettiva e che - come gli dico nei commenti - mi aiuta a sentirmi meno solo. Fumetto. Ma fa veramente così schifo come parola? Mah.
Ringalluzzito, metto mano all'ultimo numero di Scuola di fumetto. Laura Scarpa intervista Elfo e - fra le altre belle cose - intercetto questo passo: "(...) a me ha fatto piacere che in Garzanti, quando hanno deciso di pubblicare Tutta colpa del '68, non abbiano sentito la necessità di inventarsi una collana di graphic novel in cui inserirlo. Gli interessava il tema, gli piaceva la storia, lo hanno pubblicato e basta. Il fumetto è un linguaggio autonomo, non ha bisogno di cornici o di fingere di essere qualcos'altro. personalmente, di cazzate tipo "il fumetto è arte" non ne posso più. (...)" Ecco, ora mi sento anche meno scemo.
No, perchè a leggere in giro fra siti, blog e forum, sembra quasi che a parlar di fumetti si diventi ciechi, mentre a parlar di greficnovels si fa la figura degli acculturati e - a seconda della bisogna - si becca qualche biglietto omaggio per entrare in qualche salotto buono. Come dire: "non sono omosessuale, ma diversamente etero" o "negro io? no no, ha visto male. Sono diversamente bianco". "Io non faccio fumetti, no. Hem... sa, quelli li fanno i poveracci e io [mettendo la mano nella tasca, dando una boccata alla sigaretta e guardando oltre la linea d'orizzonte, impettito, aggiustandosi il cappello e con l'occhio di chi guarda lontano]... faccio romanzi grafici". Che tristezza. Che infinita tristezza.
Nel frattempo, uno che i fumetti li fa e li sa fare e che rimane fuori da queste seghe mentali, va al nocciolo di tutto e non vedo l'ora che ci faccia sapere qualcosa. Parlo di Alfredo Castelli e della sua ricerca sulle origini del termine fumetto. Qui alcuni importanti dettagli in più.
Non vedo l'ora che esca, anche se non si tratta di una collana cronologica dedicata alle avventure del personaggio di Lee Falk. Ogni albo sarà composto da 128 pagine formato comic-book a un prezzo onestissimo e con sostanzioso apparato redazionale e raccoglierà storie realizzate dalla Egmont, che ne ha prodotto a quintalate negli ultimi decenni.
Phantom è uno dei personaggi cui sono maggiormente affezionato e di cui amerei con tutto me stesso leggere nuove avventure realizzate oggi da nuovi autori (e magari italiani e magari mi ci vorrei trovare in mezzo). L'idea di rivederlo in edicola (l'ultima volta è stata - estemporanea e occasionale - con I Classici di Repubblica, ma mancava da anni) è particolarmente stuzzicante, per non dire esaltante.
Negli USA stanno lavorando alla serie televisiva, ma quanto visto finora procura giusto effetti diuretici.
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promemoria personali
"Perchè scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile."
"C'era una volta... e poi un giorno... e poi quando tutto sembrava andare per il meglio... e poi all'ultimo minuto... e vissero felici e contenti (ma anche no)."
David Mamet
Su questo cranio di scimmia. Su questo corpo di cane. Su questo modo di fare. Zibba
Fumetti noir, crime, hardboiled, gangsteristici e polizieschi reperibili in Italia
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