una questione di responsabilità

16:16 [emo] 39 Comments


Mega è uno dei due cataloghi di riferimento per i librai che vendano fumetti.
Una delle rubriche - Parola di libraio - ospita a rotazione gli interventi di chi i fumetti li vende e, di volta in volta, affronta le tematiche più diverse.

Sul numero di Mega attualmente in distribuzione (il n.113) è pubblicato anche un mio intervento, che vi riporto sotto con la speranza di approfondirlo insieme a chi, di voi, ne abbia voglia.

Faccio il libraio da qualcosa come quindici anni. O meglio, ho cominciato a lavorare in libreria esattamente 15 anni fa. Prima come commesso, poi come gestore, da qualche anno come proprietario.

In quindici anni di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta: sono parzialmente cambiati i poli distributivi, il mercato ha subito variazioni di tendenza drastiche, gli attori principali del teatro-fumetto si sono moltiplicati e diversificati.

Mai come nell’ultimo quinquennio gli scaffali delle librerie hanno mostrato la gigantesca quantità di proposte, tanto che il timore potrebbe essere quello che il numero effettivo dei lettori di fumetti sia inferiore a quello di chi i fumetti li pubblica, gli editori.

Eppure non passa momento della giornata in cui non si senta o non si legga la parola “crisi”.

“Non si vende più come 4/5 anni fa” è uno degli slogan più ricorrenti... ma esattamente 4/5 anni fa si sentivano frasi come “non si vende più come 4/5 anni fa”.

Allora, delle due l’una: o oggi si vende una frazione ridicola di ciò che si vendeva 10 anni fa, oppure distributori, editori, librai e autori non sanno fare al meglio – ognuno nel proprio campo – il proprio mestiere.

Anche perchè di potenziali lettori il fumetto italiano ne ha tanti, decine, anzi... centinaia di migliaia.

Persone che sono disposte a spendere 50 euro per la ricarica di un cellulare, così come per un videogioco o che altro.

La scusa qual’è? Che in Italia si legge poco? Perfetto, che si lavori per invertire la tendenza, invece di subirla passivamente.

Il punto è: sappiamo fare il nostro lavoro? Quale fine ultimo ci poniamo in ogni momento in cui lo svogliamo?

Io autore perchè faccio fumetti?

Io editore perchè pubblico fumetti?

Io distributore perchè distribuisco fumetti?

Io libraio perchè vendo fumetti?

La grande catena dell’ammmore nuvoloso dovrebbe essere percorribile in entrambi i sensi di marcia, garantire delle aree di sosta in cui confrontarsi ed essere di stimolo gli uni nei confronti degli altri, dovrebbe permettere – così – di individuare degli obiettivi da raggiungere e una progettualità per ottenere quei risultati, nel rispetto (e nell’interesse non in conflitto) di ognuna delle parti.

Il tutto – inevitabilmente, inesorabilmente, naturalmente – sarebbe a beneficio di quella chimera sempre più difficile da raggiungere che chiamiamo Lettore.

Il lettore da ammansire, da incuriosire, da blandire, da sedurre, da fidelizzare, da educare, da ascoltare, da arricchire, da soddisfare.

Il cerchio si chiude con quella che dovrebbe essere la domanda definitiva: perchè leggo fumetti?

Aggiungendo questo tassello al puzzle che sto goffamente ricostruendo in queste righe, si completa un’unica espressione: senso di responsabilità.


39 commenti:

Will ha detto...

Intervento interessante e spinosissimo.
Dal mio punto di vista sottolineo solo la parte in cui richiami a una maggiore responsabilità e soprattutto sinergia fra le parti in causa.
Se alla base non c'è una progettualità, ma al contrario si vuole vedere il mercato come una torta già pronta e finita, è chiaro che sembrerà sempre non sufficiente, si litigherà per avere qualche briciola in più urlando sempre alla crisi.

Anonimo ha detto...

Dopo essermi asciugato calde lacrime di commozione non posso che annuire con convinzione mentre ti tributo una standing ovation!
Le tue sono considerazioni sacrosante.
E' possibile che a chiunque dichiari il suo amore per il fumetto possano risuonare prive di interesse?

Anonimo ha detto...

Emiliano, il tuo intervento è appassionato ed interessante ma pecca su un punto fondamentale.

Ne abbiamo parlato privatamente un sacco di volte e sai come la penso sulla questione "crisi". Oggi il mercato è molto diversificato; un editore come Bonelli pubblica un numero di testate che venti anni fa non aveva; ma questo non vuol dire che il "fumetto" stia messo bene. Il punto è che il lettore di fumetti è sempre più un appassionato nel vero senso del termine e questo comporta che tenda a comprare più testate. Però il bacino d'utenza in senso stretto è molto più ridotto.
Piuttosto, manca il ricambio generazionale. I "nuovi" lettori di fumetti sono sempre meno e specialmente nella fascia d'età adolescenziale il mercato italiano offre il nulla. Ergo: o leggi Topolino, o passi ai manga.
Altrimenti c'è il fumetto popolare, di buona fattura, ma di certo non ha il suo target prìncipe negli adolescenti.

A questo punto, poi, l'equivoco si ingigantisce. Librai, lettori, e alcuni porofessinoisti del settore, si chiedono, attraverso tavole rotonde, forum su internet e quant'altro, cosa possono fare per cambiare il mercato.

Se per "cambiare il mercato" si intende, cambiare il ventagli odi proposte offerte, no problem, ma se invece si pensa di riuscire a cambiare le "abitudini di consumo" di vecchi e nuovi potenziali lettori allora risposta è che non si puo' fare molto.

Anzi, direi nulla.
Nulla perchè non posso essere editori, librai e semplici appassionati a cambiare vuoi il mercato vuoi le abitudini di consumo.
Queste attengono a cambiamenti della società e dei costumi, veramente enormi.
Esempio di grana grossa:
negli anni settanta un quindicenne annoiato quasi sicuramente si fiondava in edicola a comprarsi "L'Interpido" o "Geppo" mentre oggi ritiene piu' interessante giocare con la sua Xbox 360 o scaricarsi una suoneria per il cellulare.
E tutto quello a cui assistiamo, per contro, è una reazione editoriale dell'italico panorama del tutto scomposta, dove si affacciano sul mercato librario una miriade di piccoli editori, che per quanto possano sforzarsi di dar vita a situazioni editoriali splendide dal punto di vista artistico e narrativo (inutile citare i tanti che meriterebbero un cenno) di fatto però non hanno la forza di produrre quel quid necessario a dare una diversa impronta allo stato delle cose.
A cio' si aggiunga che molte volte non si edita ciò che piacerebbe ai lettori, ma si edita cosa piace all'editore (e questo fattore è portato all'eccesso presso le piccole etichette).

Per certi aspetti, nulla di male, ma è come quando fai un regalo ed invece di pensare a cosa possa piacere al destinatario del dono, regali una cosa che piace a te.

Questa è una cosa che in altri settori dell'intrattenimento non avviene.
Pensaci.

Nel campo dei videogiochi (che insieme a quello dei fumetti è il settore che conosco meglio) una software house pubblica anzitutto prodotti che seguono tendenze di mercato.

Nessuno investe in un gioco semplicemente perchè "piace" allo staff. Per cui, io posso adorare i platform, ma se di platform il mercato è saturo, ciccia. Faccio altro, e lo farò dando il 130%

E, restando in tema, nessuna software house, anche grossa, puo' "cambiare il mercato". Perchè il mercato cambia con la società, con l'iterazione fra diverse forme di intrattenimento e consumo e via dicendo.

A metà degli anni ottanta, le console erano date per spacciate, perchè schiaciate dagli home computer. Oggi celebriamo la XBOX 360 ed attendiamo la PS3, mentre il sottoscritto si sorprende sempre piu' di quel gioiello che è il Nintendo DS.

Chi ha cambiato il mercato, le tendendenze? Nessuno, scientemente.
Semplicemente le abbitudini di consumo hanno portato un riequilibrio tra le diverse forme di intrattenimento.

E chiudo il mio intervento tornando al fumetto. Il fumetto è spacciato ?
Per me il fumetto ha una forza espressiva che tiene testa a film, videogiochi, libri et similia.

Ma io non ho ricette da proporre.
Ho solo delle speranze. Ultima annotazione. Si continua a non capire che in un mercato completamente diverso da quello che era venti anni fa, il fumetto italiano è incapace di proporre "brand", cioè personaggi di forza tale da essere appetibili anche per altri media.
Prendiamo esempio da ciò che avviene in altri paesi.

Gli unici "brand" vincenti provenienti dal nostro bel paese, negli ultimi dieci anni sono stati "Witch" e "Winx".

Un po' poco.

Ti pare?

Un abbraccio.

Marin

Doctor Ban ha detto...

non sono molto daccordo,ma il tema è troppo ampio per poterne disquisire nel post di un blog.una cosa però mi preme dire.una fesseria se vuoi ma che è significativa per me.non si dovrebbe partire dal presupposto di regalare ciò che potrebbe piacere a chi lo riceve,ma omaggiare le persone, alle quali tieni, di cose che piacerebbe ricevere a te stesso.solo così potrai trasmettere l'importanza di un amicizia,di un amore,di un interesse.quando ragali un libro,for instance,gradiresti trasmettere le emozioni che tu hai provato leggendolo.di videogiochi non mi permetto di parlare perchè non conosco l'argomento,ma parlando di fumetti mi viene da dire che io da lettore non ho mai,in età matura cercato un brand forte,anzi,son fuggito da tali cose.certo non sono un adolescente,ma credo anche che il mercato dei fumetti non sia più adolescenziale,oggi meno che mai.il fumetto,a discapito da coloro che lo vedevano relegato in una sorta di fiaba moderna per bimbi o giù di lì,è cresciuto,si è evoluto ed è diventato romanzo,ricerca,studio e racconto.insomma,oggi il fumetto è maturo per intrapendere una sua strada per divenire comunicazione e media tout court.credo che per quanto piccole le case editrici di oggi(parlo di quelle italiane,perchè quelle internazionali lo fanno da un pezzo)facciano carte false perche questo passaggio,questo attraversare il "confine" accada il più in fretta possibile,e sta accadendo.noi,oggi non ci rendiamo conto della rivoluzione in atto ma,i nostri figli domani credo che potranno solo ringraziarci.oggi il romanzo a fumetti è una realtà consolidata anche se in italia non ha ancora un mercato definito.però le cose si muovono,i blog che ne parlano e dove si parla di questo argomento si moltiplicano,le testate maggiori offrono spazi sempre più ampi.ne parla la radio e la televisione.oggi i fumetti come costume sono a livello (non artisticamente,certo)dei movimenti intellettuali che hanno sconquassato l'italia.oggi il fumetto è presente ovunque.sta a noi non perdere questo treno,a fare in modo che tutto ciò che è stato fatto fino ad oggi da persone incredibili ,storicamente e intellettualmente indispensabili,possa venire vanificato.bisogna rimboccarsi le maniche fare proseliti ounque,arrivare anche al bookcrossing ove necessario.il racconto per immagine è il futuro.noi siamo nel futuro,ora.

[emo] ha detto...

omamminamia ho dato la stura a una cosa più grande di me :)
a parte gli scherzi, sono contentissimo che la discussione si sia animata e ringrazio willy, gianfranco, marin e bananos per i loro interventi.
ora sono stancuccio e poco lucido, ma fra domani e dopo mi riservo di intervenire sui punti che mi paiono maggiormente fertili, con la speranza che oltre al nostro emergano anche altri punti di vista, altre prospettive.
grazie davvero.

Anonimo ha detto...

Un discorso troppo complesso da poter essere trattato qui. Estrapolo dalle venti cartelle che probabilmente avrei scritto due semplici considerazioni:

1- La crisi c'è e chi dice che non c'è dovrebbe smettere di guardare solo il proprio orticello. Facciamo un esempio classico (ne parlavo a lucca con il pregiatissimo dott. Solinas): Se McKean fosse nato 30 anni fa in italia dove sarebbe adesso? Probabilmente dopo aver fatto un po' di autoproduzioni avrebbe trovato lavoro come cassiere alla Standa dato che in italia nessuno ti paga per un lavoro come Cages.

2-C'è qualcuno qui abbastanza vecchio da ricordare la crisi delle sale cinematografiche agli inizi degli anni 80? Con l'avvento dei videoregistratori Vhs e Betamax nessuno andava più al cinema. Complici il divieto di fumare esteso a tutte le sale italiane, la scarsa sicurezza nelle nostre strade durante le ore notturne e la pessima qualità delle sale l'intera industria cinematografica era data per spacciata.

E allora? Allora si è operato su più fronti: furono introdotti sconti nei giorni infrasettimanali (ci sono ancora oggi quelli del mercoledì). Le sale furono tutte rimesse a nuovo e gli impianti audio e quelli di proiezione aggiornati grazie ad interventi statali. Ma soprattutto scese in campo la "grande nemica" del cinema, la TV. Una delle campagne pubblicitarie più martellanti del decennio ti spingeva a "volare al cinema" per provare "un'emozione grande".

Tutto qui. Ecco cosa manca al fumetto. Qualche stanziamento e, soprattutto, pubblicità. Incredibilmente l'industria del fumetto italiana è l'unica che non conta su NESSUN TIPO di pubblicità (che, guarda un po', dicono sia l'anima del commercio). E' strabiliante già solo il fatto che nonostante questo il fumetto italiano goda di salute sufficientemente buona.

A questo punto la domanda finale: dove potrebbe arrivare il fumetto italiano se godesse delle strutture di cui godono TUTTE le industrie in italia? Se si potessero avere per l'industria del fumetto campagne pubblicitarie come quelle delle consolle o dei pannolini o del caffè?

[emo] ha detto...

@marin> può pure darsi che il fatturato generale sia calato, è sicuramente vero che un paio di generazioni di giovani lettori siano state perse, ma io sono davvero stanco di sentir parlare di crisi e di non fare praticamente niente per ostacolarla.
è la passività rassegnata a oltranza che mi repelle.

A cio' si aggiunga che molte volte non si edita ciò che piacerebbe ai lettori, ma si edita cosa piace all'editore (e questo fattore è portato all'eccesso presso le piccole etichette).

Il discorso "ciò che piace al lettore" mi ricorda maledettamente il bersaglio che vogliono raggiungere i focus group del marketing Disney... e anche qua la cosa mi fa inorridire.
Ma bada bene, non è certamente la parola marketing che mi disturba, tutt'altro.
E' solo il ribaltamento di priorità che trovo dissennato: il marketing dovrebbe servire a vendere al meglio un prodotto che esiste, non a confezionarne uno che possa essere vendibile secondo chi sa quali alchimie.
I recenti flop Disney dimostrano proprio questo: sbaglio?

il fumetto italiano è incapace di proporre "brand", cioè personaggi di forza tale da essere appetibili anche per altri media.
Prendiamo esempio da ciò che avviene in altri paesi.


Ci sono editori e autori che realizzano brand e ci sono autori ed editori che realizzano innanzitutto delle storie.
Io sono tutt'ora convinto che la priorità debba essere imprescindibilmente quella di raccontare delle storie al massimo delle proprie capacità e con il massimo dell'onestà intellettuale.

[emo] ha detto...

@bananos> non si dovrebbe partire dal presupposto di regalare ciò che potrebbe piacere a chi lo riceve,ma omaggiare le persone, alle quali tieni, di cose che piacerebbe ricevere a te stesso.

Concordo parola per parola.

il fumetto,a discapito da coloro che lo vedevano relegato in una sorta di fiaba moderna per bimbi o giù di lì,è cresciuto,si è evoluto ed è diventato romanzo,ricerca,studio e racconto.

Il fumetto per me è fumetto e punto. Le uniche differenziazioni che posso considerare sono fra fumetto seriale e fumetto non seriale.
Nessuna delle due categorie, però, implica in assoluto un giudizio di valore: banale dirlo, ma esistono "fumetti seriali" degni e "graphic novel" vomitevoli, così come alcune "graphic novel" fanno vaporizzare alcuni "fumetti seriali".

[emo] ha detto...

@armaduk> Allora si è operato su più fronti

Esattamente il cuore del mio discorso di partenza.
Io non metto la testa sotto la sabbia: so quanto vendevo prima e quanto vendo adesso, ma so anche benissimo che è cambiato enormemente il tipo di mercato.
La crisi se c'è si affronta rimboccandosi le maniche, ma se c'è e diventa un alibi dietro il quale nascondere mancanza di idee, di progettualità, voglia di investire creatività e risorse, allora io m'incazzo e non accetto più di confrontarmi con quel tipo di mentalità: subire senza reagire, senza determinazione, senza obiettivi, senza discutere realmente e fattivamente con tutte le parti in causa è un atteggiamento da falliti.
E i falliti meritano di sparire dalla circolazione.

Anonimo ha detto...

Nel mio precedente intervento, ho dimenticato di congratularmi con te per l'articolo che appare su Mega. Rimedio adesso.

Quanto alla tua osservazione:

"E' solo il ribaltamento di priorità che trovo dissennato: il marketing dovrebbe servire a vendere al meglio un prodotto che esiste, non a confezionarne uno che possa essere vendibile secondo chi sa quali alchimie.
I recenti flop Disney dimostrano proprio questo: sbaglio? "


Tu hai preso un caso limite cioè la Disney.

Anzitutto i mali delal Disney Italia non risiedono nel modo in cui concepiscono il marketing ma nel fatto che non sono riusciti a creare una nuova generazione di autori bravi tanto quanto i "Maestri" del passato. Paradossalmente, l'Accademia Disney, che doveva servire a preservare lo "stile Disney", ha dato vita a tutt'altro.

Se tu leggessi "Topolino" oggi, ti accorgeresti del poco spessore di molte storie, anzitutto dal punto di vista grafico e ci sarà un motivo perchè una testata come i "Grandi Classici Disney", che pubblica solo ristampe a base di Scarpa, Bottaro, De Vita, Carpi, Chierchini e via dicendo va a gonfie vele.

Io ho riprovato a comprare Topolino ultimammente, incuriosito dalla saga "Wizard of Mickey". Non te la commento, perchè non è il caso.

Ma ritorniamo al Marketing. Forse mi sono espresso male.
Io non dico che un autore debba sedersi a tavolino e creare un personaggio con lo scopo di farne anche un brand.
Credo sia impossibile.

Poteva Alan Moore pensare che V for Vendetta diventasse un "Brand" ? No. Però è avvenuto;
del resto, è una storia così forte che è facile da espandere in molti modi.
Ci puoi fare un film o un videogame senza problemi.

Ma sono la storia ed i personaggi del fumetto ad avere "la forza primigenia".

Moltissimi prodotti nostrani invece, mancano di tale forza.
Tu dirai: ma dove sta scritto che un fumetto debba diventare un film ?

Da nessuna parte ovvio. Solo che siccome il mercato fumettistico è in contrazione, se si vuole sopravvivere occorre anche ripensare certi modi di fare "mercato".

Perchè, vedi Emiliano, è bello scrivere perchè si ha voglia di scrivere o disegnare per il gusto di disegnare.

Ma quello non è "lavoro". Un editore ha costi e deve avere ricavi. E sono i ricavi che vengono a mancare sempre più.

Discorso spietato ed antipatico, specie per un appassionato lettore come me.

Spero di aver chiarito meglio.

Marin

Anonimo ha detto...

Io sono d'accordo con Marin, sostanzialmente.
Credo di avere capito che lui voglia dire che, una volta che un prodotto e' scritto, e' compito dell'editore sia filtrare (per non saturare il mercato, e darsi le bottigliate sui coglioni) e, dopo una (eventuale) scrematura, cercare di promuovere l'opera nella maniera migliore possibile.
Il lavoro di un editore e' vendere.
Che poi un editore dovrebbe avere anche uno staff capace di selezionare prodotti diversi ed adatti a pubblici diversi e' un altro discorso. Ed e' ovvio.

Una casa discografica tenta di venderti Mariah Carey finche' non ti esce dagli occhi, poi magari passa a Gwen Stefani, poi a Pharrell Williams e poi ai ri-issue dei Nirvana...
In Italia gli editori grossi sono praticamente mono-culture!
Ha ragione Armando (grazie del pregiatissimo...) quando dice che non si investe, ma e' anche vero che non si investe perche' il "mercato" dei fumetti fa ridere i polli, diciamocelo... quanti imprenditori resterebbero a galla, se fossimo nel campo dei videogiochi?

Anonimo ha detto...

Per chi legge l'inglese:

http://goodcomics.comicbookresources.com/2006/11/28/jimmie-robinson-on-you-are-not-helping-comics/

Ed una riflessione: ma a parte il mondo del fumetto, esistono altri campi in cui della crisi si devono occupare i lettori/ascoltatori/spettatori?
Nel campo del cinema no, nella musica no, mi pare nella letteratura no...

[emo] ha detto...

@antonio> il lavoro di un editore è solo vendere o c'è dell'altro che sia auspicabile faccia?

Anonimo ha detto...

Per me solo vendere. Che scelga la roba migliore da vendere lo do per scontato ed in ogni caso e' un passaggio precedente alla vendita.
Oppure devo presumere che un editore debba anche educare (era a questo che ti riferivi)?
In ogni caso, se voglio un divano economico, me lo compro all'Ikea. Se lo voglio piu' costoso (o di migliore qualita', a volte le due cose coincidono), me lo compro da un'altra parte. Perche' non si puo' fare questo discorso anche nell'intrattenimento? In Giappone funziona cosi', vedi i "mappazzoni" (copyright Werther)...

[emo] ha detto...

@antonio> mi riferivo al passaggio che hai dato per scontato: l'editore - a mio avviso - deve innanzitutto scegliere (e a questo sono collegate tante altre belle cosucce).

Quando hai parlato di divani, invece, mi son perso: illuminami.

(anche sulla cosa dei mappazzoni: non me la ricordo)

Anonimo ha detto...

La crisi (...) se c'è e diventa un alibi dietro il quale nascondere mancanza di idee, di progettualità, voglia di investire creatività e risorse, allora io m'incazzo

Io non ritengo affatto che sia una crisi di idee, anzi. Di idee e nuove proposte ce ne sono fin troppe. Tra l'altro questo è uno dei pochi punti che non condivido della buona analisi di Marin. Secondo me l'offerta di fumetti in italia non era così varia da 30 anni. Basta sfogliare Mega o Anteprima per rendersi conto che c'è veramente di tutto.

Per quanto riguarda il "fumetto che piace ai lettori" il punto è che è impossibile sapere cosa in realtà il pubblico voglia.
I focus group ed i sondaggi di opinione raramente servono a qualcosa.

No, la crisi è una semplice crisi di vendite dovuta al fatto che ormai ci siamo rassegnati ad accettare il solito bacino di utenza di 80-100 mila lettori di fumetti in italia. Se ci pensi un attimo ti accorgi che è una concezione del mercato sterile e masturbatoria: siamo i soliti quattro gatti, ci compriamo l'uno dall'altro i nostri prodotti e non vogliamo/possiamo uscire dal nostro piccolo club. Così non va. Bisogna trovare nuovi lettori, non fare in modo che i vecchi acquistino nuovo materiale. E questo lo fai solo pubblicizzando il medium fumetto in generale. In tutti i modi.

ma e' anche vero che non si investe perche' il "mercato" dei fumetti fa ridere i polli, diciamocelo...

Vero. Però in questo modo ci troviamo di fronte al solito botolo che si morde la coda: NON investo perchè non c'è mercato e NON c'è mercato perchè non investo.

Non pretendo certo spot di 30" sulle reti mediaset (anche se uno spot di 30" sulle reti mediaset mi fa vendere di punto in bianco 15.000 copie in più) ma basterebbe una pagina di pubblicità sulle più diffuse riviste NON di settore per arrivare a persone potenzialmente interessate me che non comprano in genere fumetti. Basterebbe che il buon Mollica tornasse magari ogni tanto a fare quello che faceva 20 anni fa e al tg delle 20 mi parlasse di qualche buon fumetto invece di dedicare il solito servizio al solto quartetto Fiorello-Loren-Benigni-Celentano.

Infine: il compito dell'editore è VENDERE. La parte didascalico/creativa lasciamola adautori ed editors.

Anonimo ha detto...

armaduk said:
"Bisogna trovare nuovi lettori, non fare in modo che i vecchi acquistino nuovo materiale. E questo lo fai solo pubblicizzando il medium fumetto in generale. In tutti i modi."

E' questo il punto.
Servono nuovi lettori.
Con i numeri attuali non si va da nessuna parte.
E non possiamo nemmeno contare su un ricambio generazionale fisiologico che in realtà in questo campo come in altri non è detto che ci sia ed è comunque attualmente legato a dinamiche del tutto casuali, tipo il successo di un anime alla tv o di un film.
Non certo a pubblicazioni pensate per i lettori più giovani e per i bambini.
Io, quando un genitore illuminato mi chiede qualcosa da regalare ad un bambino, mi trovo in forte imbarazzo: tolti due o tre titoli di Bande Dessinee (Toto l'ornitorinco, Piccolo Babbo Natale ecc) ormai abbandonati a causa di scarse vendite (e di scarsa visibilità, Sardina nello Spazio di Mondadori (egualmente dismessa), Asterix e i soliti Disney, non so proprio cosa proporre. Forse Pimpa, forse Pinky di Mattioli, ma è davvero dura...e io ho in casa due bimbe che mi fanno da cavie, immaginate che cosa può fare il 'fumettivendolo' iperspecializzato in manga o super-eroi.
E per quanto riguarda gli adulti, magari cresciuti a fumetti ma persi per strada, qualcosa si fa, ma troppo poco.
Al limite gli si soddisfa la moderata voglia di fumetti con prodotti (anche validissimi) allegati ai quotidiani, che ora vengono proposti a ritmi che spingono all'accumulazione ma non certo a letture ponderate e quindi possono portare a un senso di acritica sazietà.
E' qui che la responsabilità degli editori non si dovrebbe fermare ma piuttosto dovrebbe agire da spinta incessante, sempre alla ricerca del nuovo prodotto, ma anche del nuovo lettore.
Mi sembra che in Italia si scelga (anche e soprattutto da parte dei più grossi) di rimestare nel solito vecchio truogolo per mancanza di coraggio, anzi per infingarda furbizia, quella che in tutti i campi porta spesso gli italioti a lasciare che a fare da 'crash test dummies' siano gli altri.
E comunque siamo un popolo di rassegnati cronici, di pessimisti cosmici che si accontentano di mangiare uova a pranzo, cena e colazione del giorno dopo.

Anonimo ha detto...

il discorso sui divani era legato alla differenziazione dell'offerta...
Per quanto riguarda lo scegliere, l'editore lo fa sempre solo per il proprio tornaconto personale.
Il problema e' che in altri campi dell'imprenditoria colui che propone e' costretto a scegliere bene perche' se no viene eliminato dal mercato, mentre nel mondo dei fumetti anche gli imprenditori "scarsi" possono rimanere a galla e prendersela col pubblico che non capisce etc.
Nel mondo del fumetto, oggi, ci sono persone in grado di esercitare il ruolo di talent scout? Io ne dubito...
Bonelli propone i fumetti che piacciono a lui, Disney ha dei format da seguire, e gli altri sono tutti dei poveracci (in senso economico).
Ripeto, il problema principale e' che l'industria non c'e'.
E il secondo problema e' quello del nostro piccolo club, dal quale non vogliamo (vogliono) uscire.
Il discorso del branding e' importante. Ma come effetto: se crei un fenomeno, poi lo puoi rivendere in altre forme.
E chi e' che oggi cerca di creare fenomeni? Chi e' che si pone il problema di andare oltre i soliti 4 lettori con gli stessi gusti e riferimenti culturali?
In America la DC apre la linea Minx per le donne (i cagliaritani ne coglieranno l'ironia...). In Italia, qualcuno si e' mai preoccupato di raggiungere un pubblico distinto?
Gli unici che mi vengono in mente sono John Doe e Garrett.

igort ha detto...

Caro Emo, le tue riflessioni stanno aprendo la porta a numerose altre. io credo sia utile e necessario porsi delle domande sul senso del fare. personalmente mi sono accorto che esiste un pubblico per le cose di coconino. Che è esigente e disponibile, generoso e molto presente, se serve. Il problema è riuscire a rendere il più efficace possibile la circolazione dei materiali. Mi spiego, esauriamo una notevole quantità di titoli, che poi si devono ristampare. Perché non aumentare le tirature dunque? Perché non si vende tanto rapidamente. E' un flusso costante ma non un'onda da surfisti californiani.
Eppure i lettori ci sono, e sono molti.

Bruno Olivieri ha detto...

Emo, innanzitutto "banna" l'anonimo dello "spam" (che Dio li maledica!).
Passando al resto, gran bello scambio di opinioni, mi piace. Purtroppo però, a leggere tutta sta roba in un botto mi si incrociano gli occhi. Vorrei commentare, ma prima preferirei avere cognizione di causa e mi riservo di farlo una volta che ho letto tutti gli interventi!
Tanto non muori dalla voglia di conoscere il mio parere, vero?
:-))))))))))
Bye!

[emo] ha detto...

@armaduk>

Per quanto riguarda il "fumetto che piace ai lettori" il punto è che è impossibile sapere cosa in realtà il pubblico voglia.

Concordo. Per questo dicevo che ognuna delle parti in causa dovrebbe porsi prioritariamente solo un problema di responsabilità nei confronti di quale sia il proprio ruolo.

Bisogna trovare nuovi lettori, non fare in modo che i vecchi acquistino nuovo materiale.

Giusto anche qua. Ma la mia domanda è: chi deve cercare nuovi lettori?
Come?
Io sono convinto che - in questa ricerca - non si possa prescindere da una sinergia fra editori, distributori e venditori.
Ma il problema ulteriore che mi pongo è: esiste la volontà?

il compito dell'editore è VENDERE. La parte didascalico/creativa lasciamola adautori ed editors.

Se non hai qualcosa da vendere, cosa vendi?
Per questo ritengo prioritario per un editore saper scegliere, perchè se sai scegliere - a mio avviso - dovresti avere gli strumenti per sapere come vendere quel qualcosa che hai scelto.

[emo] ha detto...

@antonio>
Nel mondo del fumetto, oggi, ci sono persone in grado di esercitare il ruolo di talent scout? Io ne dubito...

Antò, è un'affermazione generica alla quale si può ribattere con un'affermazione di segno opposto e così il discorso rimane nel campo delle mere opinioni.
Io sono convinto che queste persone ci siano e l'emergere di autori come Gipi o Parisi (e mi fermo qua coi nomi) dovrebbe essere lì a dimostrarlo.

E il secondo problema e' quello del nostro piccolo club, dal quale non vogliamo (vogliono) uscire.
Il discorso del branding e' importante. Ma come effetto: se crei un fenomeno, poi lo puoi rivendere in altre forme.
E chi e' che oggi cerca di creare fenomeni? Chi e' che si pone il problema di andare oltre i soliti 4 lettori con gli stessi gusti e riferimenti culturali?


Ma è davvero un problema di branding? Andiamo, sù.
Il problema non dovrebbe essere cercare di fare belle storie, pubblicarle e fare di tutto perchè arrivino al numero più alto di persone?
Magari stiamo dicendo la stessa cosa, quindi te la metto in altro modo: quand'è che diventa necessaria la volontà di fare un branding? All'origine o in un altro punto dell'iter che ho sintetizzato?

[emo] ha detto...

@igort>

io credo sia utile e necessario porsi delle domande sul senso del fare.

Era esattamente la finalità che mi son posto con l'articolo per Mega.

. Perché non aumentare le tirature dunque? Perché non si vende tanto rapidamente. E' un flusso costante ma non un'onda da surfisti californiani.
Eppure i lettori ci sono, e sono molti.


Magari l'aumento delle tirature non è da considerare prioritario/consigliabile ora, dati i tempi lenti di assorbimento, ma già una sfida come il progetto con Repubblica potrebbe creare le condizioni adatte o - nella peggiore delle ipotesi - suggerire delle nuove strade.

[emo] ha detto...

@bruno>

Vorrei commentare, ma prima preferirei avere cognizione di causa e mi riservo di farlo una volta che ho letto tutti gli interventi!
Tanto non muori dalla voglia di conoscere il mio parere, vero?


Altro che se voglio conoscerlo!
Penso che più prospettive vengono delineate meglio è.

L'anonimo ha fatto la fine che meritava.

Anonimo ha detto...

Emo: vorrei scriverti tutte le risposte alle domande che mi poni poco più in alto qui e ora, ma finirei di scrivere intorno alla 3 del mattino... :(

Ma non c'è proprio modo di vederci tutti un giorno, sederci intorno ad un tavolo e parlarne?

Beh, ok.

IN BREVE:
1-chi deve cercare nuovi lettori? Nessuno. I lettori ci sono: sono i NON COLLEZIONISTI. Sono quelli che comprano gli albi bonelli per leggerli in metropolitana e poi buttarli via. Sono il milione di persone che ha preso (a gratis) Corte sconta con la Repubblica. Sono quelli che vedi al cinema o in libreria e che non hanno mai comprato un fumetto in vita loro. Basta portarli in fumetteria o, meglio ancora, portare A LORO il fumetto.

2-Come? Facendogli conoscere il fumetto, facendo nascere in loro la CURIOSITA' per il fumetto. Come? Pubblicità (vedi mio post sopra). Cristo, Emo, ho lavorato in pubblicità per 15 anni. Potrai anche accusarmi di fare il "cinico milanese" (tra l'altro adoro milano ed i milanesi) ma è così che funziona: marketing e campagne pubblicitarie. Mirate. Fatte con la testa. E puoi riuscire a vendere (e bene) anche i prodotti meno commerciali. Anche quelli fatti "col cuore". E non c'è bisogno di investire fottiliardi di dobloni. Che tu sia un editore, un venditore, un distributore o un autore hai necessità di SOLDI. Non ne parla mai nessuno, come se quella dell'addetto ai lavori squattrinato fosse una romantica vocazione. Beh, non ,lo è. E' questa visione distorta che ha fatto sempre in modo che il mercato del fumetto in italia non potesse esprimere neanche un quarto delle proprie potenzialità. I soldi? chi se ne frega dei soldi? siamo artisti noi, no? Salvo poi dover fare i conti a fine mese.

3-Io sono convinto che - in questa ricerca - non si possa prescindere da una sinergia fra editori, distributori e venditori.
Perfettamente d'accordo.

4-Ma il problema ulteriore che mi pongo è: esiste la volontà?
Francamente questo non lo so. Per il momento mi pare solo che ci sia parecchia miopia.

5-Per questo ritengo prioritario per un editore saper scegliere, perchè se sai scegliere - a mio avviso - dovresti avere gli strumenti per sapere come vendere quel qualcosa che hai scelto.
Certo che un editore deve saper scegliere. Un editore che non sa scegliere ben presto non sarà più un editore ma un impiegato al catasto. Ma deve soprattutto saper vendere quello che ha scelto.

[emo] ha detto...

@armaduk>

Ma non c'è proprio modo di vederci tutti un giorno, sederci intorno ad un tavolo e parlarne?

Certo che c'è modo: perchè non venite tutti in Sardegna a primavera? :)

Riguardo la promozione: con me sfondi una porta aperta.
Come mi sembra di aver specificato, io non sono minimamente contrario al marketing: se credo in ciò che ho fatto, non basta.
se voglio che ciò che ho realizzato arrivi ai lettori, devo promuoverlo al meglio.
devo farlo arrivare al più alto numero possibile di persone.
quindi ben venga il marketing, la promozione, la pubblicità e quant'altro.
ciò che non accetto è che il marketing venga prima della storia, tutto qua, molto semplice.
ognuno faccia il proprio lavoro al massimo e tutto il meccanismo ne beneficierà.
se un editore prova a fare l'autore, un autore fa l'addetto marketing e il marketing suggerisce all'editore cosa fare, ne viene fuori un casino senza uscita.
e - a mio avviso - anche un bagno di sangue dal punto di vista economico.

Anonimo ha detto...

discorso articolato...troppo per parlarne in un blog...
anche io di ss

[emo] ha detto...

@fettabiscottata>
ben arrivato/a, quando vuoi presentarti siamo qua :)
spero che continuerai comunque a seguire la cosa: su un blog è difficile, lo ammetto, ma pare che ci si stia riuscendo abbastanza.

Anonimo ha detto...

ciò che non accetto è che il marketing venga prima della storia, tutto qua, molto semplice.
Emilia', questo e' un atteggiamento che funziona solo nel campo del fumetto, e solo perche' non esiste l'industria...
Marketing e storie devono andare a braccetto, e sono due rami distinti dell'attivita' editoriale.
Vai a dire ai grandi editori che prima ci vogliono le belle storie...
Per quanto riguarda Gipi e Parisi (e i talent scouts), al di la' dell'indubbio valore dei nomi, ma quanto vendono Parisi e Gipi?

Oltre quelle 1000-2000 persone che li leggono, chi li conosce?
Se ci pensi bene, 1000 copie di un fumetto (che oggi costituiscono un buon successo) le potresti vendere porta a porta, dal tuo camioncino... ed invece sembra che oggi costituiscano un risultato ottimo.

se un editore prova a fare l'autore, un autore fa l'addetto marketing e il marketing suggerisce all'editore cosa fare, ne viene fuori un casino senza uscita.
Ed e' proprio quello che capita oggi, invece. A parte il pezzo in cui il marketing suggerisce all'editore cosa fare. Magari se capitasse, si venderebbe di piu'.

Altra riflessione: ma se uno fa prima i propri interessi (guadagnando), magari pensando anche solo al marketing, successivamente non puo' anche consolidare la propria posizione diversificando (e quindi mettendo fuori altri tipi di fumetto)?

[emo] ha detto...

@antonio>
Per quanto riguarda Gipi, tieni presente che ora è in tutte le librerie italiane con Rizzoli e in tutte le edicole con Repubblica.
Dici che sono solo 1000/2000 copie?
Parisi ha fatto una manciata di cose: per ora mi sa che la cosa importante è che qualcuno lo abbia pubblicato.
non è che ogni autore di talento debba essere pubblicato in decine di migliaia di copie da subito, no?

Altra riflessione: ma se uno fa prima i propri interessi (guadagnando), magari pensando anche solo al marketing, successivamente non puo' anche consolidare la propria posizione diversificando (e quindi mettendo fuori altri tipi di fumetto)?

forse non mi sono spiegato, provo a sintetizzare: il marketing deve essere un mezzo, da usare al massimo delle potenzialità, non l'origine o un fine.

Anonimo ha detto...

Mi piace questa discussione, si parla di un argomento fondamentale con interventi densi e articolati.
Io mi riconosco molto negli interventi di antonio e Armaduk. Ho solo un paio di considerazioni:

Pubblicità: Armaduk ha lavorato nel campo, io ci lavoro da qualche anno. L'esempio della crisi del cinema (sono abbastanza vecchio per ricordarla bene), non regge per un motivo: il cinema muove milioni di euro, è un'industria da milioni di posti di lavoro, ha un indotto enorme. Il fumetto, anche nella sua forma migliore (commercialmente parlando) non si avvicina neanche. Qindi è chiaro che l'interesse dello Stato e le capacità economiche degli editori, siano piuttosto carenti. Questo non significa che qualche investimento pubblicitario non si possa fare, o che sia inutile, tutt'altro. Ma la televisione mi sembra off-limits.

Salto generazionale: credo che il tema sia da approfondire. secondo me è il nocciolo della questione. I bambini oggi, non sanno neanche che esiste una roba chiamata fumetto, e non possiamo far leggere loro Gipi o Parisi, vi pare? Una testata popolare per bambini o per ragazzi è indispensabile oggi. Un'altra cosa che è necessaria, sempre secondo me, è il ritorno dei fumetti sui quotdiani. Devono tornare a essere una cosa normale da trovere ogni giorno, dovunque.
esagerato? Forse, ma secondo me sono passi da farsi.
Finisco questo romanzo con dicendo una cosa a proposito dei compiti.
L'editore deve vendere e scegliere. Vero, ma per farlo deve innanzitutto INVESTIRE. Investire significa rischiare su qualcosa in cui si crede.
Investire è il mantra che devono ripetere anche i distributori e gli autori.

Anonimo ha detto...

Che l'industria del fumetto in Italia non esista non ci piove.

Fondamentalmente tutti possono pubblicare fumetti. Basta un piccolo capitale, un accordo coi vari Pegasus e Pan e vedi il tuo titolo comparire nei gataloghi.

Amen.

Poi c'è dell'altro che dimostra che l'industria del fumetto non esiste.
Ci sono Editori che non pagano o che pagano una miseria, editor improvvisati, soluzioni editoriali strampalate.

Dopo vi faccio un esempio di scelta editoriale strampalata, ma prima un chiarimento.

Pensare che i lettori ci sono perchè si è distribuito "L'Uomo Ragno Serie Oro", gratis, in un milione di copie, vuol dire o essere inguaribili ottimisti oppure non guradare la situazione editoriale in Italia con un minimo di oggettività.
Premesso che la vendita "in abbinato" di albi a fumetti con altro materiale editoriale a me non disturba, va anche detto che queste iniziative, guardando ai grandi numeri, NON portano nuovi lettori di fumetti.

Certamente c'è chi dopo molti anni si sarà riavicinato al media fumetto, ma le cifre che gli editori esaminano parlano molto chiaro. Sono situazioni che portano beneficio al periodico che sfrutta l'operazione, in parte a chi detiene i diritti dell'opera abbinata ma senza un beneficio di lungo periodo.

Lettori occasionali ?

Amici, ma lo volete capire che sono proprio i lettori occasionali quelli che stanno sparendo ?

Oggi, molti giovani e non solo, preferiscono portarsi in autobus o in metro un Nintendo DS piuttosto che "Diabolik" (ho scelto uno dei fumetti meno ingombranti in assoluto appositamente).

Nella maggior parte dei casi, chi si è sciroppato l'edizione completa di Hugo Pratt, sta bene così.
Anzi, penserà: "Cazzo, ho tutto Pratt" ed orgoglioso mostrerà la sua collezione agli amici che come lui, da anni, non leggono più fumetti.

Ma dubito che da lì, un fuoco fatuo di passione per il fumetto possa riaccendersi. Dati di vendita degli editori alla mano, ripeto, non perchè io sia depositario di chissà quale verità.

Quanto al fatto che spesso si è poco industriali nel fare fumetti ecco un esempio che in Italia si è ripetuto più di una volta, anche recentemente.
Se io voglio pubblicare una rivista per promuovere giovani fumettisti, perchè scelgo la carta patinata auentandone il costo e disincentivandone l'acquisto ?

Infatti, il lettore medio di cui sopra, non solo sta sparendo, ma quando esiste, non va a comprarsi "giovani autori italiani semisconosciuti a quasi 10 euro, su carta patinata".

L'albo lo lascia sullo scaffale.

Ringraziamolo dunque quando, dimenticati la PSP o il Nintendo a casa, per passare mezz'ora sui mezzi pubblici, fa lo sforzo di comprarsi "Tex Nuova Ristampa".


Marin

[emo] ha detto...

@marin>
Premesso che la vendita "in abbinato" di albi a fumetti con altro materiale editoriale a me non disturba, va anche detto che queste iniziative, guardando ai grandi numeri, NON portano nuovi lettori di fumetti.

Ma tu ne sei davvero convinto?
Io - da libraio - ti dico che non è affatto così, anzi.
Ognuna delle iniziative di questo tipo mi ha portato clienti nuovi.

In ogni caso, a mio avviso la reale ricaduta positiva sul mercato la si avrà sul medio-lungo termine.

Altra cosa: tu parli del milione di copie gratuite, ma ti giro la cosa da un altro punto di vista.
Pensi che le 100.000 e passa copie di Eisner siano da sottovalutare?

Anonimo ha detto...

Emo,
il tuo caso lo conosco bene. Ma al di là dei casi personali, delle due l'una.

O Bonelli ed altri Autori ed Editori sono in malafede e si divertono a piangere miseria oppure io non mi sbaglio molto.

Ti rigiro la frittata. Mia nipote di sedici anni frequenta un Istito d'Arte.

A te sembra normale che in classe sua, e nelle classi di suoi amici dello stesso istituto, gente che dovrebbe essere appassionata di disegno, in varie forme, a stento legge qualche manga?

Ottimo Eisner. E quindi ?

Boh, per me il discorso non cambia.

O meglio, ipotesi. Facciamo che anche i lettori appassionati come me passino dall'acquistare decine e decine di testate al mese, ad un massimo di cinque.

Quante testate chiuderebbero ?
Giusto per vedere la marea di lettori che affolla l'italico mercato.

[emo] ha detto...

@maarin>

O Bonelli ed altri Autori ed Editori sono in malafede e si divertono a piangere miseria oppure io non mi sbaglio molto.

Oppure non si riesce a capire come è cambiata la situazione, perchè son calate le vendite, non si vuole/riesce a far fronte alla cosa e la si subisce passivamente o sbagliando strategia.
Come vedi, non basta parlare di crisi e aspettare che passi.

Ottimo Eisner. E quindi ?

Evidentemente c'è un pubblico che - in edicola! con grandi tirature! - può essere recettiva nei confronti di un autore così "difficile".

O meglio, ipotesi. Facciamo che anche i lettori appassionati come me passino dall'acquistare decine e decine di testate al mese, ad un massimo di cinque.

I lettori come te non sono quelli cui sto pensando io.
Io sto pensando alla maggioranza assoluta: quella composta da chi non ha MAI letto un fumetto o ne ha letto pochi.
Sono quelli i lettori da raggiungere.
Che il nostro sia un mercato incestuoso - come ha detto più su più di qualcuno - è un dato di fatto.
O si accetta passivamente questa cosa, o si cercano lettori nuovi.
Come cercarli?
Ecco ciò che voglio dire io.
Non basta parlare di crisi, perchè perdendo tempo a lamentarsi si fa solo la figura delle prefiche.

Anonimo ha detto...

Non basta parlare di crisi, perchè perdendo tempo a lamentarsi si fa solo la figura delle prefiche.

Con l'accento sulla e o sulla i?

ahah

[emo] ha detto...

@nomad>

Salto generazionale: credo che il tema sia da approfondire. secondo me è il nocciolo della questione. I bambini oggi, non sanno neanche che esiste una roba chiamata fumetto, e non possiamo far leggere loro Gipi o Parisi, vi pare? Una testata popolare per bambini o per ragazzi è indispensabile oggi. Un'altra cosa che è necessaria, sempre secondo me, è il ritorno dei fumetti sui quotdiani.

Queste mi sembrano due proposte sensatissime e da incoraggiare, caldeggiare e approfondire.

eriadan ha detto...

Grazie per aver segnalato questo post sul sito di RRobe. Riporto qui in maniera spero un po' più articolata il mio pensiero. Secondo me per catturare nuovi lettori di fumetti occorre che la "vecchia industria fumettara" non perda il treno di internet e trovi il modo di far trovare i propri prodotti, le proprie novità, con nuove formule, nei gangli focali di accesso alla rete per i nuovi utenti. Lo stesso Rrobe ho visto che sfrutta molto la rete per promuovere le sue uscite editoriali. La sua promozione però, da quel che ho visto, si muove sempre e comunque in canali dedicati al fumetto. Se si trovasse il modo, invece, di agganciarsi a siti mainstream tipo, che so, repubblica.it o corrispettivi analoghi che generano un traffico simile, e su quelle piattaforme si diventasse un punto fisso, si avrebbe un nuovo modo di prendere nuovi lettori. Lettori che poi, affezionati alla serie, magari in libreria ci vanno a colpo sicuro sapendo già quello che cercano.
Per quanto ridicola e trascurabile possa essere la mia esperienza autoriale rispetto alle altre realtà fumettistiche italiane attuali penso sarebbe utile alle case editrici classiche programmare in maniera oculata un quelcosa di simile alla mia botta di culo (essere stato uno dei primi ad aprire un blog a fumetti quando tanta gente cominciava ad aprire blog).

[emo] ha detto...

@eriadan> grazie per esser passato di qua e - soprattutto - per aver detto la tua.
Concordo su tutto quanto abbia detto e di mio aggiungerei ben poco.
Spero che la discussione si rialimenti e che anche qualche altro visitatore di queste pagine trovi il tempo e l'interesse per contribuire al discorso.