le cose cambiano
Non so nemmeno io da quanto tempo conservo l'immagine di Fegredo qua sopra.
L'ho sempre tenuta nel portafoglio da che la ritrovai su qualche fumetto o su Previews ed esemplifica al meglio - (auto)ironia compresa - il rapporto che ho avuto per anni con la scrittura: scrivere solo nei momenti in cui avevo voglia di farlo, e sempre che altre distrazioni o la semplice, titanica pigrizia non avessero la meglio.
Da qualche tempo, però, le cose sono cambiate in maniera sostanziale rispetto a Xiola, che mi ha innanzitutto insegnato - grazie al lavoro in tandem con Antonio - a darmi un metodo, una regolarità , se non altro perchè in quel caso si trattava di un progetto realizzato insieme ad un altro sceneggiatore: laddove latitava l'ispirazione, si faceva spazio e diventava motore trainante il senso del dovere.
E' del tutto evidente - oggi - che allora mancava un aspetto fondamentale e fondante, che ho scoperto solo nel corso dell'ultimo anno di Comics Code: la necessità .
Certo, fino ad ora non sono mai mancati il divertimento di scrivere, l'insana passione per il medium, ma il bisogno, direi quasi fisico, di esprimere a fumetti le idee che si rincorrono nella mente si è manifestato solo nell'ultimo periodo in tutta la sua incontrovertibile urgenza e sarebbe un crimine non alimentarlo e incanalarlo nel fare.
Tutto questo ha ben poco di romantico, visto che si accompagna a una severa consapevolezza, quella dei limiti che ho come sceneggiatore: sto parlando della fatica di tradurre a fumetti, e tradurre al meglio, ciò che ho bisogno di raccontare.
Penso che la cosa migliore sia soltanto cercare di spostare ogni giorno in avanti, anche solo di pochi centimetri, la soglia di quei limiti e immagino che le armi da utilizzare siano quelle imparate in questi anni: saper scegliere fra le varie ispirazioni (leggi saper scremare le buone idee da quelle cretine), affinare l'intuito, individuare un metodo e non lasciarsi spaventare dall'idea di ri-scrivere se quest'operazione è finalizzata al miglioramento dell'unica cosa davvero importante, la storia.
59 commenti:
Mi ci rivedo moltissimo in quello che hai scritto.
Per quanto mi riguarda, il mio approccio al foglio bianco è costituito da una necessità fisiologica di creare, che poi fa parte di tutti i giorni, e di cui non potrei fare a meno.
r--
L'urgenza è la prima e fondamentale cosa, emiliano.
Se hai quella, hai tutto ciò che ti serve.
Come diceva Stephen King nel suo celeberrimo "On writing":"Non scrive chi sa scrivere, scrive chi vuole scrivere".
E mi permetto di aggiungere: scrive chi DEVE scrivere (non per scadenze lavorative, intendiamoci, ma proprio perché se non lo fa c'è qualcosa nella sua giornata di irrimediabilmente perso).
Poi l'ispirazione va e viene ed è normale.
Ma a quel punto chissene.
@remo> e dopo la necessità , per te, cosa viene?
@anonimo> grazie per il tuo bell'intervento che, oltretutto, condivido riga per riga.
Mi piacerebbe, oltre a sapere chi sei, che approfondissimo meglio la questione del "deve" :)
@emo> dopo la necessità , di sicuro, da parte mia c'è la voglia di raccontare, di mettere su carta quello che sento, di dare il mio punto di vista sulle tematiche che mi stanno a cuore.
e poi arriva il sudore e la fatica sul foglio, che esige (al solito) tanto tempo ;)
r--
Discussione molto interessante.
Esprimersi è un esigenza anche per me, questa spinta che ci viene dal dentro ci accompanga da sempre e non ci lascierà mai da soli!
@remo> la questione del "punto di vista" (io lo chiamo "sguardo") è un altro punto particolarmente interessante.
quando hai capito di avere uno sguardo finalizzato alla forma d'espressione, sul mondo che ti circonda?
Come si accompagna questo alla forma che scegli per i tuoi fumetti e le tue illustrazioni?
@niccolò> è una consapevolezza che hai da sempre o che hai maturato con tempo?
@emo>il mio "punto di vista" o "sguardo", dipende dal fatto che spesso vedo tante cose interessanti camminando per strada, parlando con un amico, o ascoltando le persone.
da qui l'esigenza di parlare di vicende che possono accadere a chiunque, perchè le sento più vicine alla mia sensibilità .
Basta guardarsi attorno, e si trovano tantissime suggestioni da trasferire su carta.
Per la forma, tutto dipende dalla storia:
nel senso che, secondo me, ogni racconto ha bisogno di una tecnica ben precisa, e il disegno si deve adattare alla narrazione, e non viceversa.
...fine del commento logorroico :D
r--
E' cresciuta con me con il tempo Emo, come la voglia di collaborare con persone intelligenti e rafinate come te ed Antonio!
@niccolò> c'è stato un momento particolare in cui hai "sentito" maggiormente la cosa?
Emo: l'immagine di Fegredo era su un qualche albetto promozionale della Vertigo: nel suo caso, pero' lui dice che l'artista deve aspettare l'ispirazione e poi se ne va a giocare a Playstation (ricorda qualcuno?). Si, e' ironico, pero' anche autocritico (non faccio un cazzo e so di essere cosi'...). Il tuo approccio sembra un po' diverso.
Niccolo': ci conto, per Lambo, ok?
io mi ritrovo in quello che dice l'anonimo... anche se non disegno e non scrivo o comunque nn dedico una parte della giornata a quel fumetto o quella illustrazione che sto portando avanti mi sembra di aver perso del tempo. non so se in realtà ho una necessità fisiologica per il creare come dice remo, più che altro ho la passione per l'atto in se (disegnare/scrivere). Staccare dal mio "primo lavoro" e mettermi a fare i "disegnini" è fondamentale perchè mi sento libero, faccio quello voglio, la mia passione si sfoga senza limiti senza pensare se quello che faccio è pensato bene, se funziona, se è progettato come si deve. c'è solo la passione per la narrazione attraverso il disegno. poi sono anche convinto che le cose appena dette, (lavoro che funziona, bel progetto ecc ecc) vengano un pò da sole, grazie all'esperienza, che alla lunga, si sà , paga.
....riscrivo qua dopo qualche ora, ho appena staccato da una ministoria che ho scritto e sto disegnando. vengo qui e rileggo quello che ho scritto prima. ho detto una cazzata. quindi errata corrige: in realtà ci penso eccome se il lavoro viene bene ed ha un senso, se le linee dicono la cosa giusta, se i dialoghi rappresentano quello che avevo in mente. solo per quante volte ridisegno le cose o cambio le carte in tavola della storia. diciamo che quello che ho scritto prima forse si può riferire più al disegno per svago, per puro divertimento.
@antonio> si, è chiaro (anche per me che non capisco una mazza d'inglese) ciò che vuol dire Fegredo.
Ciò che intendevo dire io è che per un certo periodo mi costruivo anche io l'alibi dell'ispirazione, quando - invece - il motivo per cui non scrivevo era "ispirato" da due cause ben diverse: mancanza di motivazioni vere al raccontare e pigrizia.
Ora mi sento diverso, sarà perchè ho 34 anni, sarà per le esperienze vissute in questi 10/15 anni, sarà per le letture e gli incontri fatti, sarà per qualcosa che non so, ma di certo mi sento molto diverso da prima, forse - per la prima volta - ho una percezione di me come sceneggiatore che abbia realmente a che fare con lo scrivere più che con il poseur...
@bombo> penso che il tuo doppio intervento sia semplicemente magnifico perchè esemplifica al meglio alcune delle sfumature che riguardano un processo creativo: ossia, la percezione di sè (cui accennavo sopra) prima, durante e immediatamente dopo il "fare".
Grazie!
@bombo> allora, preferisci che ti linki con il nick o mi vieni incontro e ti linko col tuo nome? :))
il mio nome è orrendo. maurizio santucci. fai come vuoi, mi fa piacere che mi linki. però mi devi togliere una curiosità : come mai sei avverso ai nick? o al mio in particolare?
Ciao Emo
vedo un sacco di post interessanti nel tuo blog, lo seguirò d'ora in avanti,
grazie per essere passato "dalle mie parti"
Andre Longhi
Condivido pienamente: "Non scrive chi sa scrivere, scrive chi vuole scrivere".
E se si ha qualcosa da dire, se la si ha nello stomaco e nel cuore, poco importa la tecnica, quella si affina con gli anni.
Ma se non si ha nulla da raccontare... questo è tutto un altro paio di maniche.
Interessante questa discussione. Soprattutto per me che sono in piena crisi di scrittura e, al tempo stesso, ho il cervello che bolle, che rigurgita nuove idee, storie, personaggi. Il mio unico problema è che non voglio mettermi al tavolo e lavorare seriamente. Tutte le volte che mi violento e mi costringo a scrivere, ho come un blocco. Il rubinetto si chiude e il nulla si riversa sul foglio che rimane bianco. Mah, spero che passi presto.
@bombo> no no, nessuna avversione particolare nei confronti del tuo nick, ma semplice scelta "politica" o "editoriale": mi piace l'idea di linkare autori che meritino il massimo della visibilità , a cominciare dal nome. Tutto qua :)
@andrea> sono contento che hai deciso di tornare.
Intanto, se ti va di partecipare a questa chiacchierata, sei il benvenuto!
@stefano> quando si capisce e come di "avere qualcosa da raccontare"?
@nomad> passo in continuazione fasi come quella che hai descritto tu.
Se prima, però, causavano un allontanamento dalla scrittura per un tot di settimane/mesi, ora le affronto in maniera molto diversa e costruttiva: mi metto a scrivere altro, rileggo cose vecchie e cerco di correggerle, cerco - insomma - di tenere comunque la testa attiva.
ovviamente la frase sull'avversione per i nick era in tono scherzoso. :D
Apprezzo la tua scelta politica anche se ti ho linkato con "emo" :)
Non era bello però quando in passato tutti gli autori avevano un "nick"? Io la trovo affascinante questa cosa. Molti dei più grandi sono conosciuti con un soprannome (Gipi, Igort, Magnus, Moebius poi Yambo, Sto ecc ecc :D )... Magari porta fortuna! :)))
rispondo anche alla stessa domanda che fai a stefano:
si capisce quando ti inizia a girare nella testa sottoforma di immagini, poi anche se sta li dentro per mesi forse è solo perchè la gestazione sarà più lunga del normale...
Per quello che mi riguarda, lo capisci quando ci sono cose che devi assolutamente far sapere, condividere, siano esse storie più commerciali o più introspettive. Raccontare le storie di personaggi che ti vivono nel cuore, insomma :) Possono essere parti di te stesso, ma non è detto. Insomma, il discorso sarebbe lungo, e rischio di incasinarmi. Sono cose da discutere davanti a un bicchiere di vino. :)
Bombo! è verissima questa storia dei nick... cazzarola...
@bombo> riguardo ai nick, mi sa che cercherò una soluzione che contempli anche questi... hai ragione! :)
riguardo, invece, alla necessità , il livello cui accenni tu sembra più quello dell'ideazione.
Io mi riferivo a un'altra fase (sempre che il processo creativo/produttivo possa facilmente essere segmentato oggettivamente): quella dell'urgenza di concretizzare, ossia il momento in cui tutto preme per venir fuori e non "si accontenta" più di rimanere in forma di idee, schizzi, appunti, bozze e quant'altro.
@stefano> in attesa del tavolo e del bicchiere di vino, prova a incasinarti lo stesso: alla peggio son pixel nella rete ;)
Naaa, non mi piace incasinarmi :)
"Raccontare le storie di personaggi che ti vivono nel cuore" credo che, comunque, racchiuda un pò il mio pensiero.
Non so se per tutti è così, ma io ho la precisa necessità di ritrovarmi, perchè ho la costante abitudine di perdermi. La scrittura è questo per me, un modo per trovare pezzi del mio io che ho disperso qua e là . Il problema è che in questo periodo sono precipitato in qualche posto lontano e ho paura che scrivere per uscirne possa solo frantumarmi in pezzi più piccoli. E' difficile da far comprendere, non so dirlo meglio, sorry.
Il mio punto di vista è piu' simile a cio' che dice remo in un certo senso in uno dei suoi post.
Non si crea nulla. Il bisogno di comunicare dipende dal bisogno di dare un ordine al caos. Ricostruire la singolarità disordinata degli eventi senza snaturarla.
Chi scrive è come un'antenna che decodifica segnali che sono già là fuori e li rende riconoscibili.
Pensare che quei segnali provengono da noi stessi, che sia il singolo a crearli e mostrarli al mondo spesso rende solo più disturbato il segnale.
@stefano> allora ti provoco su un altro passo del tuo penultimo intervento: cosa rende una storia più introspettiva di un'altra e una più commerciale?
@nomad> scrivi fumetti o altro? Nel primo caso, immagino che ciò che scrivi venga disegnato da un'altra persona. Allora ti chiedo: riesci ad affidare il tuo ritrovarti a una persona altra da te?
@willy> sono più o meno d'accordo, nel senso che io dò al verbo "creare" un'accezione ben poco romantica e del tutto letterale: fare qualcosa che prima non c'era.
In questo senso, ogni volta che scrivo qualcosa sto creando.
Come vedi, niente che scomodi afflati artistici o deliri di onnipotenza.
Nel momento in cui ascolto quella parte di me che ha bisogno di esprimersi a fumetti, cerco solo di dare la migliore forma possibile.
In quel momento - necessariamente - me ne distacco, perchè il racconto (a mio avviso) deve avere come finalità esclusivamente sè stesso e in sè stesso deve risolversi.
Se poi questo - indirettamente - mi permette anche di ottenere anche altri vantaggi (vedi il rispettabilissimo punto di vista di nomad) è qualcosa in più.
Che bel post!
Fino a poco tempo fa, per me scrivere era legato a momenti contingenti: urgenze, appunto.
Cose che scrivevi per te e delle quali ti vergognavi un po', sperando un giorno venisse qualcuno a dirti "Ma perché queste cose non le fai leggere anche agli altri!".
Da quando ho cominciato a scrivere professionalmente (benedetto il giorno in cui un amico sceneggiatore di Sassari mi ha incoraggiato a intraprendere questa strada!) ho capito che scrivere è anche altro. Spesso un esercizio di stile, nel quale i lavori migliori sono quelli in cui riesci a riversare qualcosa di te senza essere invasivo.
Quando è possibile (e non sempre lo è) mi piace veicolare qualcosa di me, di tutte quelle storie che per tanto tempo mi son rimaste dentro, come fossero indegne di essere raccontate. E invece hanno la dignità della vita.
Riguardo alla fatica della scrittura e, in particolare, della scrittura per fumetti, come ho detto a un amico pochi giorni fa, scrivere è una bellissima faticaccia. Tutte le volte che rileggo qualcosa scritto di getto e che sul momento mi appariva sacro e intoccabile, mi ritrovo ad aggiustare, limare, sottrarre, rielaborare. Ed è un po' come infliggersi piccole ferite perché dentro di te c'è un piccolo edonista che schiuma di rabbia ("Togli la penna da quella frase!!! Era fantastica e tu me la cancelli?!").
Ogni parola, ogni a capo, ogni virgola, è una piccola battaglia :-)
Io credo che raccontare storie sia una cosa naturale. Si una di quelle cose che il cervello fa automaticamente per aiutarti a capire.
Come respirare. Non è una metafora. Costantemente abbiamo in corso un colloquio interiore tra la parte di noi che guarda e quella che elabora. Si raccontano cose fra di loro, così tanto per capire.
Questa é una cosa in cui credo e che applico ogni volta che devo scrivere. Mi siedo sul divano e il cervello già sa, è già pronto. Che ci raccontiamo? Non credo nell'ispirazione, credo nel dialogo interiore. é un po' come quando corri. Il corpo e il cervello sanno quello che stanno per fare ma solo dopo aver 'rotto il fiato' tutto diventa naturale e tutto fila liscio. Forse è solo una questione di allenamento. Gli esercizi del caso vogliono una maggiore consapevolezza di chi siamo e cosa ci raccontiamo ogni giorno, in ogni momento. Quel che si usa dire: essere presenti a se senza scordare tutto il mondo che c'è fuori. Dimenticavo, è bene ricordarlo, siamo in guerra.
Per quanto mi riguarda, sceneggiare (scrivere è un'altra cosa, che non so se riuscirò mai a fare) è un lavoro, prima ancora che un'urgenza. Mi piace però pensare che "raccontare" (come dice Ribi) sia una cosa naturale. Vedo mio figlio, sette anni, che parla da solo in un angolo. Mi avvicino: sta recitando una battuta, una domanda e, subito dopo, si sta dando una risposta. Penso: ecco come nasce una storia. Lui, in questo istante, si trova DENTRO la storia. Questo non per dire che diventerà un narratore (cerco di fargli capire che gli idraulici guadagnano molto di più), ma per tentare di visualizzare la "fonte" di tutte le nostre fantasie, di tutte le nostre emozioni. Ultimamente, per esigenze lavorative, cambio spesso il mio registro narrativo. A volte va bene, altre volte no. Mi perdo nelle trame che ho letto e in quelle che ho scritto. Per questo ho un bisogno disperato di tornare a quella fonte benedetta (ma anche maledetta). Dopo tutto questo tempo, ho ancora sete.
@fabrizio> qual è l'aspetto dello scrivere che ti costa la fatica maggiore, oltre la ri-scrittura?
Io trovo difficoltà soprattutto nel passaggio sul computer: finchè tutto rimane fissato in appunti ordinatissimi (da feticista della scrittura) anche se apparentemente slegati, la storia ha una sua forza che mi spinge a tenerla viva, ad alimentarla in continuazione.
Nel passaggio "in bella copia", invece, ho sempre il timore di perdere in freschezza e immediatezza, di lasciarmi qualche immagine/spunto per strada.
Non per paura di scegliere, ma proprio come una sorta di fisiologico dazio da pagare al passaggio.
@ribi> parli di comprensione di sè attraverso il racconto o comprensione del mondo attraverso il racconto? l'una prevale sull'altra? ti riferisci anche a questo quando parli di guerra?
@bruno> qual è l'angolo che scegli tu per "parlare da solo"?
quando e come hai capito che era proprio quello?
Eh, certo che ti sei messo d'impegno con le domande, emo :-)
Io scrivo racconti. Alcuni li sceneggio, altri li lascio così. Quando faccio fumetti, lascio che sia il disegnatore a rielaborare i miei studi e a dare un volto ai personaggi e una forma agli ambienti. Così, quando comncerò a limare il soggetto e a sceneggiare, il punto di vista non potrà più essere solo il mio. Credo che questo mi aiuti, mi avvicini al traguardo a cui mi spinge la costante ricerca di cui parlavo prima. Proprio a questo cerco di oppormi non scrivendo: al traguardo.
Per me scrivere è una cosa importante, non mi interessa come lavoro, mi interessa come ricerca. Il paradosso è che il risultato della ricerca mi spaventa a morte.
Che vuoi farci, noi periti agrari abbiamo la testa piena di concime :-)
Bella domanda. In realtà , credo di non avere un angolo tutto mio: scrivo per i lettori, perciò lo condivido con loro. A volte l'affollamento mi piace, altre volte mi soffoca. In questo caso, cerco un altro angolo libero. Forse è per questo che lavoro per diversi editori.
@nomad> riesci ad affidare il tuo ritrovarti, anche solo parzialmente, a un'altra persona?
collabori con disegnatori con cui non hai rapporti personali o per te è importante instaurare anche un certo grado di intimità ?
@bruno> si può parlare di scrittura nomade?
A parte questo, insisto su una curiosità : quando hai capito di voler scrivere?
Tu nasci come disegnatore, poi hai saltato il fosso (o, semplicemente, hai solo ampliato lo spettro delle tue capacità espressive)...
Ciao a tutti, e a Bruno in particolare, che non conosco di persona, ma di cui sento sempre parlare un gran bene da Giovanni DG. Si, raccontare è un esigenza. Una necessità che hai dentro.
Farlo per mestiere, diventa l'abilità di spostare la tua capacità di creare e organizzare idee da quando vuoi, a QUANDO DEVI! Perchè hai le scadenze, perchè è il tuo lavoro per almeno 5/6 ore al giorno, perchè se non scrivi perdi il ritmo, perdi le idee.
Il fatto di cambiare registro narrativo, citando Bruno, è per me una spada di damocle: ho ancora difficoltà ad entrare ed uscire automaticamente da una serie all'altra. Passo almeno una settimana a ritrovare il feeling. Ma questi sono i difetti dell'inesperienza.
Per il resto, oltre che la bella citazione di King, sullo scrivere tengo sempre presente un prospettino di Neil Gaiman:
Pe rimparare a scrivere devi:
a) cominciare a scrivere
b) continuare a scrivere
c) finire di scrivere
Cioé: qualunque cosa tu inizi, finiscila. Anche se non la userai mai. Ti serve per esercizio, per allenamento. Ti tiene allenato il cervello e ti insegna a sbagliare.
Detto ciò mi ritiro nel mio tavolino all'afa romana...
@Emo: il concetto di scrittura nomade è bello. Forse è così, forse ho bisogno di cercare il mio stile e, quando lo troverò, mi fermerò e farò solo quello. In parte mi ricollego a quanto detto dal "Matta" (ciao Manlio, mi fa davvero piacere conoscerti "quasi" di persona...), a proposito della spada di Damocle: anch'io ho difficoltà a passare da una serie a un'altra. La prova evidente è in edicola, questo mese. C'è una mia storia sul Maxi Dyd (grande Giovanni!), ma anche una su Witch e un'altra "doppia" su Topolino. Tre cose diverse, quindi, eppure forse riesco meglio in quelle umoristiche. Forse. Sta di fatto che, ultimamente, mi sto dedicando ai cartoni anch'io (ora che ci penso: ho visto il tuo blog e ti faccio i complimenti per il progetto su Zorry Kid) e questo è ancora un altro campo, un'altra sfida che spero, in qualche modo, di vincere.
Mah, più che il ritrovarmi, riesco a farmi aiutare nel ricercarmi.
Finora ho collaborato solo con disegnatori che conosco molto bene, tranne in un caso (l'unico che è stato finito e pubblicato). Non è stata un granchè come collaborazione e il risultato finale ne è la prova :-(
@manlio> grazie per il tuo intervento.
Per rimparare a scrivere devi:
a) cominciare a scrivere
b) continuare a scrivere
c) finire di scrivere
E' un trittico di regole che ho costantemente in testa...
Tutto sta a riuscire a rispettarle :)
@bruno> penso che l'unico posto che ci può accogliere per sempre e in maniera - a suo modo - perfetta - è il nostro io: quando ti fermerai, sarà per ritagliarti il tuo spazio personale e intimo nel quale raccontare le tue cose, senza vincoli.
@nomad> posso sapere quale?
Una trilogia pubblicata per i tipi della Star Shop, quando? Una decina d'anni fa? Non ricordo bene, forse Bombo lo ricorda: anche lui fu coinvolto nel disastro :-)
La miniserie si chiamava Dan. Lo rivelo solo perchè credo sia impossibile trovarla oggi.
@nomad> tu dimentichi, o forse non sai, che faccio il libraio :)
conosco benissimo Dan...
Attualmente, in libreria, ho una copia del primo e del terzo numero, mentre a casa ho la trilogia completa.
Perchè disastro?
Devo rileggerla, ma ne ho un ricordo più che positivo!
Emo, (domanda cattiva) ma tu stai finendo di scrivere?
@antonio> risposta che mi permette di guardarti dall'alto in basso: si :)
@Emo: spero di arrivarci, in quell'angolo tutto mio, anche se i vincoli mi stimolano. Non ho risposto del tutto alla tua domanda precedente, però: per quanto mi riguarda, io sono nato e resterò per sempre un disegnatore. La scrittura è solo un altro modo per evocare immagini.
@bruno> per quel che conta, da parte mia, sono convinto che le coordinate per rintracciare lo spazio tutto tuo dipartano proprio da quel meridiano: il disegno. Unito alla scrittura.
A usare un'espressione che detesto per tutta una serie di motivi, ma che - almeno - dovrebbe permettere di capirci al meglio: autore completo ;)
Ok, passato il momento della vergogna più totale (mai e poi mai avrei pensato che qualcuno avesse letto quell'affare), posso dirti che ho un pessimo ricordo di Dan, sia come prodatto finito, che come esperienza. Avevo smesso di scrivere fumetti dopo quello, solo racconti. Poi arrivò un imbecille roman/lucches/fiorentin e mi fece tornare la voglia :-)
P.S. Aspetterò che tu lo rilegga con calma, però voglio sapere cosa ci hai trovato di buono in quell'affare. E, soprattutto, cosa ce lo tieni a fare in fumetteria. Io nella mia non l'ho mai tenuto.
@Emo: i veri autori (completi e non) sono altri, ma non è mai troppo tardi per rimettersi in gioco anche con il disegno. Chissà . In ogni caso, grazie.
@nomad> anche tu hai una libreria? dove?
Appena rileggo, ti dico, comunque.
@bruno> prima o poi riuscirò a scardinare la tua modestia! :)
La gloriosa neurocomix ha brillato per 4 anni nel centro di Viareggio. Al suo posto oggi, fa bella mostra di sè un negozio di stampanti e cartucce ricaricabili :-)
@nomad> non voglio andare OT nè "costringerti" in alcun modo a parlarne, ma sarei curioso di sapere com'era impostata la tua libreria.
Se preferisci, contattami per email.
Voglio provare a crederti... ahah!
@antonio> brucerai all'inferno, diffidentaccio!
Miiiii! Torno dopo un giorno su questo blog e nel frattempo è arrivata una decina di commenti nuovi!
Ah, ciao a tutti!
La fatica maggiore?
Iniziare.
Trovi tutte le scuse possibili pur di non prendere in mano la penna o aprire Word. E sì che scrivere è la tua passione. Però quando si tratta di passare dalla teoria alla pratica, scopri improvvisamente che:
- devi rispondere a Emiliano sul suo blog;
- devi caricare la lavatrice;
- porco cane, quanta polvere c'è su questa scrivania: devo avere lo Swiffer da qualche parte;
- ci sono i piatti da lavare;
- ora che ci penso c'era un soggetto di quell'altro lavoro che andava rivisto meglio;
- devo innaffiare le piante;
- da quant'è che non chiamo lo zio Pino? Non sia mai che si offenda!
- sarebbe ora che facessi un po' di defrag al pc;
- se comincio a cucinarla adesso, forse la peperonata per pranzo è pronta;
- devo passare a prendere i figli all'asilo! Ah, già , io non ho figli...
- devo passare in edicola a comprare il Maxi-Dylan di Bruno e Giovanni! Ah, già , l'ho preso avant'ieri...
- ... ma ho dimenticato di comprare il Corriere del Ticino: scendo in edicola
- quest'elenco è troppo corto: devo aggiungere assolutamente qualche altro punto!
Ciao emo! Grazie per la cortesia! Bè intanto che sono qui, chiedo "permesso" e faccio un giretto sul tuo bel blog!
Mirko
@fabrizio> ok, sei esentato dal rispondere qua: non voglio sensi di colpa o - peggio - telefonate risentite di Artibani! :)))
@mirko> benvenuto e grazie a te. Mettiti comodo e fai come se fossi a casa tua: se serve, il bagno è in fondo a destra ;)
Emo, assumiti le tue responsabilità !
Ti ho pure risposto sul mio blog, e la colpa è solo tua!!!
PS. lo senti il telefono che squilla? E' Francesco...
@fabrizio> salutamelo tanto, soprattutto perchè non ci siamo mai conosciuti! :)
Bellissima l'immagine del figlio di Bruno che sta dentro la storia mentre se la racconta.
Per rispondere alla duplice domanda di Emo (parli di comprensione di sè attraverso il racconto o comprensione del mondo attraverso il racconto? l'una prevale sull'altra? ti riferisci anche a questo quando parli di guerra?): raccontare serve a comprendere, non c'è contraddizione o priorità tra quello che è fuori e quello che è dentro. Il 'raccontare', seguendo questa linea del dentro e fuori, è un filtro un setaccio dove rimangono impigliate tutte quelle cose che non riusciamo a comprendere. Da qui la necessità del 'raccontare'. Da qui l'appunto che siamo in guerra. Mi rendo conto che ai fini di una scadenza, di un lavoro, di un registro narrativo che cambia, questo filosofeggiare sul racconto sembra inutile e deleterio. Ma non ho nessuna intenzione di perdere il vizio di raccontare stando 'dentro' la storia, come accade al figlio di Bruno e come accadeva a ognuno di noi quando si era più piccoli di adesso.
@ribi> capito molto meglio, grazie, e concordo parola per parola.
Come sceneggiatore ho ancora uno sguardo talmente vergine che nel momento in cui mi confronto con persone come voi di esperienza e bravura ben più provate, preferisco fare una domanda in più piuttosto che una in meno ;)
Non sai QUANTO ti capisco! E (in questo momento) un po' ti invidio...
So long, Emo!
Torno alle mie sudate carte (altrui, trattandosi di traduzioni), mai così sudate!
;-P
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